nel XIX secolo li chiamavano “everghètes”, letteralmente “benefattori”. Ma la retorica paternalistica non sarebbe riuscita a prevalere sul granitico orgoglio dell’appartenenza che negli anni dell’insurrezione contro il dominio ottomano - siamo in Grecia - aveva finito per rendere complici donatori e beneficiari (e perfino briganti e pirati, disinvoltamente coinvolti nella causa comune contro il turco).
I nomi: Sinas, Zappas, Tossitsa, Averoff, Vallianos, Gennadios, Arsakis, Soutzos, Benakis. Eminenti greci della diaspora che, fatta fortuna
soprattutto in area balcanico-slava, erano rientrati per contribuire all’immagine istituzionale della nuova patria, o meglio, alla sua “invenzione”:
perché in pratica si trattava di trasformare un villaggio turco in una capitale europea. Un movente etico ed etnico a un tempo, tanto che i maggiori
edifici pubblici di Atene si chiamano ancora con il loro patronimico.