Finestre sull'Arte


la bellezza ha resistito
al sisma

di Federico D. Giannini

Restituire a una terra ferita e martoriata ciò che i colpi della natura le hanno a lungo sottratto: si potrebbe riassumere in questi termini il senso della mostra Rinascimento marchigiano, che dopo la prima tappa di Ascoli Piceno ha riaperto a Roma lo scorso 18 maggio dove si concluderà il 27 settembre. Esposta una selezione di opere provenienti da alcuni dei territori flagellati dal sisma del Centro Italia nel 2016- 2017: trentasei pezzi dal Quattrocento al Settecento tra dipinti, sculture e oggetti di culto di grande valore artistico e devozionale, alcuni dei quali scampati alla distruzione totale delle chiese da cui provengono. Figurano anche nomi altisonanti: Jacobello del Fiore, Vittore Crivelli, Cola dell’Amatrice, Giovanni Baglione, Giovanni Serodine. Artisti che punteggiano un’area fortemente legata alle sue opere d’arte, che nelle Marche hanno un valore capace di andare ben al di là di quello materiale o estetico: basti pensare a quanti, pur di vederle o di pregarvi dinanzi, hanno organizzato visite ai depositi in cui sono ricoverate le opere in attesa di esser restaurate o di tornare nelle loro sedi, o a coloro che, mentre ancora il terremoto infuriava, si preoccupavano della sorte di una pala o di una statua, raccomandandosi coi tecnici del ministero affinché gli oggetti potessero ricevere le cure migliori.
Questi aneddoti, riferiti da chiunque abbia lavorato in zona, danno senso del rapporto tra i marchigiani e il loro patrimonio: lo confermano i due curatori della mostra, Stefano Papetti e Pierluigi Moriconi. «I marchigiani», ci dice Papetti, «sono caparbi e mostrano sempre una inesauribile volontà di risollevarsi: quando alcuni dei guasti provocati al patrimonio artistico regionale dal sisma del 2016-2017 apparivano risanati, l’emergenza Covid ha colpito duramente l’economia».

Riaperta a Roma, dopo il lungo “lockdown”, la mostra Rinascimento marchigiano con opere dal Quattro al Settecento, provenienti da alcuni territori colpiti dal terremoto del Centro Italia di pochi anni fa


La mostra, che porta nella capitale un brano significativo di quella «cultura adriatica» a lungo studiata da storici dell’arte come Federico Zeri e Pietro Zampetti, è dunque anche «emblema di questa volontà di ripartire», è desiderio di lanciare «un segnale di rinascita dopo un lungo periodo in cui la fruizione della bellezza era stata negata ». Ne è convinto anche Moriconi: «Indipendentemente dal loro valore artistico, i dipinti e le sculture restaurate rappresentano per le popolazioni terremotate un valore cultuale e identitario al quale non è possibile rinunciare quando interi paesi sono stati cancellati e ne rimane soltanto il ricordo: anche in questo senso la collaborazione fra enti e istituzioni pubbliche potrà essere utile a conseguire un risultato comune, il Rinascimento marchigiano». Questo risultato, fatto di restauri accurati ed eseguiti tutti da tecnici marchigiani, di opere risanate dalle ingiurie dei crolli, di nuove attribuzioni e nuove acquisizioni, ora è visibile nelle sale del Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio sodalizio dei piceni, l’antica istituzione secentesca che ancora oggi è attiva e, assieme ad Anci - Associazione nazionale Comuni italiani, ha contribuito a sostenere gli interventi di restauro. Alla Regione Marche invece gli oneri degli allestimenti: finita la tappa romana, la mostra si concluderà con un’ulteriore esposizione a Senigallia (Ancona), dopodiché le opere torneranno nelle loro sedi, mentre gli oggetti che non hanno più una casa saranno collocati in otto depositi nella regione e potranno esser sempre visibili al pubblico