l'antica Forum Livii, il “zitadòn” (il cittadone), perché a lungo è stato il centro romagnolo maggiormente
abitato, la città degli Ordelaff, san Mercuriale e Barbara Manfredi, tra le prime ad avere un orologio meccanico già nel XIV secolo sulla Torre
civica, da quasi dieci anni organizza importanti mostre d’arte; la più recente, aperta fino al 15 giugno (Liberty. Uno stile per l’Italia moderna ai
Musei di San Domenico), è una “carrellata” sul Liberty ampia quanto poche altre, e forse nessuna. Però c’è un ma: tutti gli altri musei della città
sono irrimediabilmente chiusi. E chi ci abita si divide aspramente sul futuro di un grande, deserto e perfino pericoloso parcheggio, in parte
coperto e assai poco amato, che è proprio davanti a dove queste mostre si svolgono, il complesso di San Domenico, che dovrebbe divenire il futuro
grande museo forlivese.
Per raccontare questa storia bisogna partire da un vasto edificio del 1722, un ospedale e ricovero tra i primi eretti
nella Romagna, di Giuseppe Merenda, architetto domenicano. È sul corso principale della città: quasi di fronte a un edificio non meno significativo,
l’Hotel della Città, realizzato, e tutto disegnato fino nei minimi dettagli, da Gio Ponti tra il 1953 e il 1957, per la Fondazione Garzanti che
voleva «creare un luogo di ospitalità e lavoro per artisti, letterati e uomini di scienza», e contiene in effetti molte opere d’arte. Nel palazzo
del Merenda, invece, avevano trovato posto le collezioni civiche. Dal 1922, l’importante pinacoteca, cui aveva lavorato anche Adolfo Venturi, a fine
Ottocento, e della quale esiste un ponderoso catalogo (1980) di Giordano Viroli; la grande biblioteca Aurelio Saff; il Fondo Carlo Piancastelli; il
Museo archeologico al piano terra; l’Armeria, e, all’ultimo piano, locali decorati negli anni Venti, le emergenze dell’invidiabile Museo etnografco,
sorto grazie a un importante evento del 1921, le cosiddette Esposizioni romagnole riunite, e implementato anche nel dopoguerra. Il palazzo del
Merenda era però inadeguato, e ora è praticamente chiuso; parte della pinacoteca è trasferita nel nuovo complesso di San Domenico.
Ma rialzato e scomodo, che ostruisce perfino la visuale del convento diventato museo.
