IL PITTORE PRIGIONIERO
Chi abbia visitato (non senza claustrofobica angoscia) i Pozzi veneziani, famigerate carceri nei sotterranei di Palazzo ducale, ora ripulite e adibite a percorso museale, può meglio immedesimarsi nell’inquietudine e nella curiosità incalzante trasmessa da Romanelli in questa storia vera di un rinvenimento artistico, che ben accompagna la mostra di Conegliano da lui curata (v. articolo pp. 66-71). L’avvincente “diario di un’indagine”, come ci pare sia, inizia ai tempi in cui Romanelli, dirigendo Palazzo ducale, è chiamato dai restauratori a dar senso a una strana scoperta. In uno degli antri più oscuri dei Pozzi, un tempo maleodoranti, dove ancora par di sentire i lamenti, alcuni monocromi sono comparsi sotto strati di grasso. Sulla volta e le pareti della cella numero X, oltre ad alcune scritte appaiono le fgure, ben condotte, seppur con qualche sproporzione, di una Madonna, due santi, fra cui san Sebastiano traftto dalle frecce (allusione ai tormenti dei carcerati) e un Cristo crocifsso. Romanelli svela subito chi a suo parere è l’autore: lo sventurato e più o meno vagamente eretico Riccardo Perucolo, cinquecentesco pittore di Conegliano già rievocato da Lionello Puppi in un racconto bellissimo, nel 1995, dopo annose ricerche d’archivio (Un trono di fuoco, pp. 134, Donzelli, Roma 1995). Alla luce della nuova scoperta Romanelli aggiunge, rimugina, studia ancora, cerca altre carte. Fra documenti, letture erudite, intime rifessioni, tenta di risolvere un piccolo enigma, in un grande intreccio di colti rimandi a fgure come Gaspara Stampa, Elisabetta Querini, Giovanni della Casa, Paolo Vergerio, fra prelati corrotti e altri in odore di luteranesimo. In pieno Cinquecento, negli anni dell’Inquisizione, di torture atroci e condanne infami, il Veneto ha accolto con più o meno occulto entusiasmo i fermenti eretici d’oltralpe. Perucolo è uno fra i tanti che pagherà con il rogo, nella piazza di Conegliano. Nella cella veneziana aveva lasciato molti anni prima un eroico atto artistico, e una scritta «Bressiano Bornato fuora di qui» che evocava la liberazione di un austero monaco benedettino.