Per quasi trent’anni, fino al 1495 quando muore avendone presumibilmente più di sessanta, «non c’era, in tutte le Marche, bottega paragonabile alla sua», scrive Anna Bovero; eppure, Giorgio Vasari lo ignora; e, assai più tardi, anche John Ruskin. Per primi lo citano, ma già nel Seicento, i veneziani Carlo Ridolfi e Marco Boschini; un secolo dopo, l’abate Luigi Lanzi; la prima monografia di Carlo Crivelli (nato forse nel 1430 - 1495) è appena del 1900. Ma oggi, non c’è importante museo al mondo che non vanti qualche opera del pittore italiano; «il suo recupero è in parte dovuto proprio alla dispersione subita nel XIX secolo. Prima Napoleone, poi il cardinale Joseph Fesch, e gli antiquari di Europa e di America, compirono un vero massacro dei suoi polittici », scrive Pietro Zampetti. I pannelli, dispersi nei siti più diversi, tanto che spesso è difficile perfino ricomporli. Quello di Porto San Giorgio (Fermo), spartito in sette luoghi, sulle due sponde dell’Atlantico; quello di Montefiore dell’Aso (Fermo), diviso in otto musei, e soltanto sei tavole delle trentacinque della “macchina” sono rimaste nella chiesa di Santa Lucia, mentre alcune, non si sa nemmeno se tre o cinque, sono andate perdute. Un autentico disastro.
