Caravaggio «vendé il Putto Morso dal Racano per quindici giulij» scriveva tra il 1617 e il 1620 Giulio Mancini, primo biografo del pittore. Si trattava del magnifico dipinto con quel ragazzo urlante e dolorante per essere stato morso da un ramarro, in cui ogni centimetro di pittura è una novità. Da quella rosa in testa al “giovane effeminato” alla spalla nuda, dalla boccia piena d’acqua e di riflessi alle mani tese e contratte dalla sofferenza. Un saggio di naturalismo, realizzato a Roma intorno al 1597 da un ventiseienne Caravaggio che, dopo essere stato dal Cavalier d’Arpino era in procinto di trasferirsi dal cardinale del Monte. Non certo il primo - c’erano già stati il Bacchino malato e il Fruttaiolo - ma così originale da colpire l’“avversario” Giovanni Baglione che lo descrive nel 1642 come «un fanciullo, che da una lucertola, la quale usciva da fiori e da frutti, era morso». E da influenzare una serie di artisti, Sofonisba Anguissola compresa, sino a giungere all’attenzione di Roberto Longhi, che lo acquista intorno al 1928, quando era già un agguerrito storico dell’arte di trentotto anni.
L’opera, fiore all’occhiello della collezione Longhi, conservata presso la omonima fondazione fiorentina (un’altra versione autografa, forse di poco
successiva, è alla National Gallery di Londra), è il simbolo delle scoperte longhiane su Caravaggio e i caravaggeschi. Il grande storico, nato ad
Alba il 28 dicembre 1890, di cui ricorrono i cinquanta anni dalla morte a Firenze il 3 giugno 1970, è stato precoce in tutto. A ventun anni, nel
1911, si laurea a Torino con una tesi su Caravaggio, relatore Pietro Toesca. Scrive su riviste prestigiose (“La Voce”, “L’Arte”), studia il
Rinascimento e il futurismo, Piero della Francesca e Boccioni, presente e passato. Vi trova legami, crea nuove aperture e metodologie. Dirige
periodici (“Vita artistica” con Emilio Cecchi, “Critica d’Arte” con Ragghianti), fonda “Pinacotheca”, “Proporzioni”, “Paragone”. Diventa professore
ordinario a Bologna nel 1937 e a Firenze nel 1949.
