XXI secolo. 1
Il cibo e l’arte contemporanea

la dimensione
alimentare

Nell’arte contemporanea più recente la dimensione alimentare entra a spiegare il rapporto tra uomo, cibo e società. Un rapporto che tira in ballo la chimica, la struttura produttiva, l’ecologia.

Matteo Pasquinelli

Arte e cibo si sono sempre incontrati tradizionalmente alla tavola delle nature morte e nel simbolismo delle raffigurazioni sacre. Più di recente questo incontro è avvenuto in modi più radicali: o imitando superficialmente la forma del cibo e cercando di plasmarla dall’esterno (come fanno il food design e la cucina molecolare e come faceva l’Arcimboldo a suo tempo) o cercando di capire il nutrimento nel suo rapporto “ecologico” più profondo non solo con il nostro corpo, ma soprattutto con lo “stomaco” della natura che continuamente cucina e trasforma i nostri atomi. 

Oswald de Andrade, iniziatore del modernismo brasiliano, esempio estremo ma chiaro, assunse addirittura l’ingestione del nemico, ovvero il cannibalismo aborigeno, come orizzonte culturale contro un’Europa che esportava nuove religioni e scuole psicanalitiche nelle nuove colonie d’oltreoceano. Considerando l’uomo stesso come nutrimento per altri uomini, ne fece il suo famoso Manifesto Antropófago che rimane uno dei contributi più originali del Brasile alla cultura mondiale e che ha dato il via a quella tradizione, detta Antropofagia culturale, che da Lygia Clark in poi “Art e Dossier” ha in altre occasioni illustrato per comprendere l’arte brasiliana di oggi. 

Ora, senza arrivare agli estremi metaforici (e non) di De Andrade, esiste una sensibilità più recente dell’arte contemporanea che si concentra sulla materia vivente e sull’ecologia nel suo esteso metabolismo (parola che in greco significava originariamente “trasformazione”, “cambiamento”). Si potrebbe ricordare l’ultima Documenta 13 di Kassel come l’evento che ha documentato e storicizzato più di tutti questa svolta neomaterialista e metabolica dell’arte. Di Kassel molti ricordano infatti la statua neoclassica di Pierre Huyghe la cui testa viene fatta continuamente “divorare” da uno sciame di api per tutto il periodo dell’installazione (bell’esempio dello “Zeitgeist” ecologista tedesco). 


Il nutrimento nel suo rapporto “ecologico” più profondo, non solo con il nostro corpo, ma soprattutto con lo “stomaco” della natura che continuamente cucina e trasforma i nostri atomi


Anticipando alcuni temi “politically correct” che hanno caratterizzato Documenta 13, a Berlino la Haus der Kulturen der Welt aveva già organizzato dal 2009 al 2012 un gigantesco festival dedicato all’ecologia sostenibile con una particolare attenzione ovviamente all’ecologia del cibo. Il titolo Überlebenskunst si riferiva all’arte della sostenibilità urbana (e pure letteralmente all’“arte della sopravvivenza”) in tempi di crisi ecologica e climatica. In questo festival non poteva mancare una “cucina metabolica”, costruita dai Raumlabor in modo un po’ letterale, che più che investigare la complessità del metabolismo ecologico semplicemente esprimeva la logistica che sta dietro alla distribuzione e alla vera e propria “catena di montaggio” del cibo così come lo troviamo sugli scaffali dei supermercati.


Michael Burton e Michiko Nitta, Republic of Salivation (2011-2012).


Un esempio del Tissue Culture and Art Project (2000-2004) di Oron Catts e Ionat Zurr.