«Il suo sguardo possedeva un notevole splendore ma poteva essere molto duro. Era bella, con un naso dritto e marcato, labbra rosse perfette, il mento deciso, la mandibola un po’ pesante - e pertanto più energica - una fluente chioma castana tirata indietro, e le ciglia simili alle antenne vellutate delle farfalle notturne»(1).
Il suo nome era Theodora Markovi´c, ma nell’ambiente artistico era conosciuta come la seducente Dora Maar.
Nata a Parigi il 22 novembre 1907, cresciuta in Argentina dove il padre è architetto, rientra in Francia a diciannove anni, s’iscrive all’Union Centrale des arts décoratifs e all’Ecole de Photographie, dove lega con Cartier-Bresson e con la pittrice Jacqueline Lamba, con cui frequenta gli atelier e i caffè di Montparnasse.
Nel 1927 abbrevia il nome cattolico Theodora (dal greco “Theos”, Dio, e “doron”, dono, dono di Dio), nel più glamour Dora Maar, che si addice perfettamente alla sua personalità provocante. Abile nella pittura e nella fotografia, nel 1930 apre uno studio fotografico in società con Pierre Kéfer. Lì condivide la camera oscura con Brassaï, che la introduce al surrealismo: «Ricordo Dora Maar in quegli anni avvolta in un lungo camice bianco, da vera professionista quale era già e sarebbe sempre stata, intenta a camminare intorno al suo soggetto come una cacciatrice attorno alla preda»(2).
Dora Maar lavora per la moda e la pubblicità, crea immagini all’avanguardia come quella realizzata per la réclame di uno shampo, in cui la chioma è rappresentata come un oceano varcato da un veliero, o come la foto del corpo nudo di Assia, tra le modelle preferite dai surrealisti, che proietta sul muro un’ombra imponente, espressione della potenza sessuale femminile.
