Quasi a chiusura di un cerchio, l’ultimo sogno di Christo, L’Arc de Triomphe, Wrapped, sarà realizzato nell’autunno 2021 a Parigi - la città nella quale tutto iniziò -, cinquantotto anni dopo la sua ideazione e poco più di un anno dopo la scomparsa dell’artista. Conosciuto soprattutto per le realizzazioni spettacolari, la genesi della sua ricerca creativa resta poco nota.
È nella Ville Lumière che l’allora ventitreenne Christo Vladimirov Javacheff (1935-2020), scappato dalla Bulgaria comunista nascosto in un treno merci,
comincia la sua carriera, dapprima dipingendo ritratti per la ricca borghesia, in seguito sviluppando un vero e proprio genere artistico:
l’“impacchettamento dello spazio”.
Proprio grazie al ritratto eseguito per madame de Guillebon, il giovane artista ne incontra la figlia Jeanne-Claude, la sua anima gemella, nata il suo
stesso giorno, con la quale per tutta la vita progetterà e firmerà ogni opera condividendo quell’anelito verso la libertà che sarà alla base di ogni
progetto. Dall’impacchettamento del Pont-Neuf a Parigi (1985) a quello del Reichstag a Berlino (1995), passando per il drappeggio rosa attorno a undici
isole nella baia di Miami (1983) o, più recentemente, la passerella gialla che ha permesso a milioni di persone di camminare sulle calme acque del lago
d’Iseo(1) (2016), i due artisti hanno sempre sfidato i limiti della percezione e dell’esperienza estetica. La mostra
Christo et Jeanne-Claude, Paris! al Centre Pompidou ripercorre, fino al 19 ottobre, gli anni tra il 1958 e il 1964, nei quali il vocabolario
inconfondibile di questi “nomadi utopici” va costituendosi.