Innestare le lezioni dell’espressionismo astratto americano e di mostri sacri come Kandinskij e Malevič sulle proprie radici africane. Questo è il percorso che sta seguendo Julie Mehretu e con notevole successo, a giudicare dall’elevato standard delle sedi museali che le spalancano le porte per offrirle spazi espositivi e dalla crescita esponenziale dei valori delle sue opere nelle aste d’Europa, America e Asia.
Nata nel 1970 ad Addis Abeba, Mehretu si è trasferita presto negli Stati Uniti, portando con sé il bagaglio dell’esperienza vissuta nelle metropoli
caotiche del continente nero, fatte di dedali di vie e viuzze, di fitti agglomerati urbani, dove però basta qualche nota emessa da uno strumento
improvvisato per creare felicità e donare un sorriso. In mezzo al caos, il colore - dei vestiti, dei copricapi, della natura - spicca con forza.
Così Mehretu utilizza come base delle sue opere dei rendering architettonici o dei disegni che richiamano piante urbanistiche di megalopoli e che
l’artista anima con forme geometriche colorate, con segni a matita e a inchiostro che li rendono vivi. Forme e segni che trasmettono un palpito, che
mettono in relazione sezioni distanti o che formano una sorta di fiori, di piante.