Cataloghi e libri OTTOBRE 2020 VICEVERSA Eleonora Marangoni, studiosa di Proust ed eccellente narratrice (col suo Lux, fra le altre cose, ha vinto il Premio Neri Pozza 2018), coltiva da tempo l’interesse per un tema figurativo coinvolgente e per niente inconsueto, nella storia dell’arte: eppure - e merita non pochi elogi anche per questo - è la prima a parlarne con tanta acutezza. Nel suo libro, illustrato da centoventi esempi, i più diversi fra loro, affronta immagini di persone viste di spalle, presenti in dipinti di tutti i tempi e in opere fotografiche dal XIX secolo a oggi. Le figure sono a volte facilmente riconoscibili, nonostante ci volgano la schiena: è il caso di “sagome” inconfondibili come quelle di Hitchcock, di Lagerfeld col suo codino di capelli bianchi, della Maddalena penitente, anzi, disperata in una delle più sconvolgenti Crocifissioni di tutti i tempi, quella di Masaccio (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), dal polittico pisano del Carmine smembrato. L’autrice descrive, scruta e indaga, facendo riferimento anche alla letteratura e al cinema. Impossibile sintetizzare, perché argomenti trasversali come questo sfuggono, per loro stessa natura, a una qualsiasi forma di conclusione. Ma a voler cercare un inizio, come scrive nel capitolo Hapax, si può partire dall’incantevole figura di Flora da Stabia (Napoli, Museo archeologico nazionale), per proseguire con le plastiche, solide figure di monaci seduti di Giotto e poi, via via, con i nudi di Degas, di Gauguin e, ancor prima, con Gli uomini a cavallo nei quali era specializzato Ter Borch, al sublime Viandante sul mare di nebbia di Friedrich, fino alla Riproduzione vietata di Magritte e a Interno newyorchese di Edward Hopper. A essere pignoli, non tutti sono esattamente di schiena. Anzi, alcuni mostrano il volto. Ma di profilo, ed è quello che Théophile Gautier chiama nel 1865 «profil perdu», già presente nella Flora da Stabia (ne parlammo a proposito del Trittico di San Giovenale di Masaccio, “Art e Dossier”, n. 353). Ma che si tratti di nuca, di schiena o di quello che noi interpretiamo come profilo perduto, senza lineamenti, questo libro di massimo interesse, oltreché piacevolissimo, propone infinite riflessioni. Eleonora Marangoni Johan & Levi, Milano 2020 160 pp., 122 ill. b.n. e colore € 25 I MONDI DI RICCARDO GUALINO Imprenditore e collezionista, Riccardo Gualino (1879-1964) rivive nel bel ritratto del 1922 di Casorati, in copertina di questo libro, uscito dopo la mostra torinese dello scorso anno. La sua vulcanica attività spaziava, nei periodi fulgidi, dalle auto (fu vicepresidente della Fiat) ai filati, dal cemento al settore dolciario, dal cinema al cuoio, ai pianoforti, alle banche. Antifascista, conobbe ascese e crolli finanziari, il fallimento e il confino a Lipari nel 1931 (Mussolini lo paragonò a Cagliostro), infine la rinascita nel dopoguerra. Costituì (e perse) una prima raccolta d’arte: «dagli ori antichi agli anni Venti», dal Beato Angelico a Modigliani, da Van Dyck alle sculture buddiste. La mostrò nel 1928 a Torino, e poco dopo dovette cederla alla Galleria sabauda per coprire parte dell’enorme falla economica a seguito della crisi del 1929. Altre opere andarono alla Banca d’Italia. Il volume ne ricostruisce tutta la storia. A cura di Annamaria Bava e Giorgina Bertolino Allemandi, Torino 2019 492 pp., 490 ill. colore € 60 CARAVAGGIO LA NATIVITÀ DI PALERMO Nella storia dell’arte, la più famigerata top ten è quella dei dieci furti più eclatanti di opere d’arte, stilata dalla FBI, dove figurano, fra gli altri, lo Stradivari Davidoff- Morini e due dipinti di Van Gogh (per fortuna rinvenuti nel 2016 nel covo di un camorrista). L’ultimo crimine clamoroso è ancora un Van Gogh, rubato nel marzo scorso in un museo olandese chiuso per il Covid-19, per il quale è stato chiesto, pare, un riscatto. Ma certo il dipinto che più rimpiangiamo è l’enigmatica Natività di Caravaggio, rubata a Palermo nel 1969 (in un giorno imprecisato di ottobre, forse il 15), nell’oratorio di San Lorenzo. Enigmatica, non solo per le tristi, intricate vicende dell’atto criminale, ma anche per la fortuna critica del dipinto, che forse pure per essere stato rubato e mai più ritrovato, è stato oggetto di indagini di ogni genere. Non solo lo hanno studiato secentisti e specialisti di Caravaggio come Alfred Moir, Richard Spear, Maurizio Calvesi, Claudio Strinati, Rossella Vodret e da ultimo, in questi anni, con capillare determinazione e acuta capacità critica, Michele Cuppone, autore di questo libro. Ne hanno parlato anche scrittori come Sciascia, ed è stato oggetto di film e documentari, fra i quali il recente Operazione Caravaggio (Sky Arte), che documenta la sorprendente (anche se non assolutamente perfetta) ricostruzione tridimensionale del dipinto da parte del team di Factum Arte diretto da Peter Glidewell a Madrid. Oggi quella copia è esposta nello stesso oratorio al posto dell’originale mai ritrovato. È ancora in mano alla criminalità organizzata, a qualche membro di Cosa nostra o nel caveau di un collezionista? È distrutto o ne resta qualche frammento? Cuppone, da ottimo ricercatore, fa il punto su tutte le sue benemerite ricerche, filologiche e storiche, e promette che ne parlerà ancora. Intanto, convincono le sue numerose prove sull’esecuzione del dipinto attorno al 1600, a Roma (e non come si credeva negli anni tardi del suo peregrinare in Sicilia). Manca la pistola fumante? Qualcuno obietta, a noi non pare, e chi leggerà il libro crediamo sarà d’accordo. Ma certo Cuppone non si fermerà qui. Michele Cuppone con una nota di Richard E. Spear prefazione di Antonio Vanugli Campisano, Roma 2020 112 pp., 19 ill. b.n., 18 tavv. colore € 30 CUADERNO C Fra i diversi taccuini che recano i visionari, conturbanti disegni di Goya (1746-1828), il cosiddetto Cuaderno C è l’unico giunto quasi intatto. Dal 1872 è conservato al Museo Nacional del Prado di Madrid, dov’è pervenuto dal Museo de la Trinidad della stessa città. I disegni risalgono al periodo successivo alla guerra d’indipendenza contro l’invasione francese, terminata nel 1814, e dovettero essere conclusi da Goya attorno al 1823. L’ultimo proprietario privato noto del Cuaderno C è Ramón Garreta y Huerta, che lo cedette al Museo de la Trinidad nel 1866. In origine l’album aveva almeno centotrentatre fogli, ma è stato calcolato che doveva essere costituito da altre tredici carte, smembrate verso il 1860 dal nipote Mariano. Di questi ultimi fogli, due sono a New York (Hispanic Society of America), uno a Londra (British Museum), uno a Los Angeles (Getty Museum) e un altro in collezione privata. Dei rimanenti si è persa traccia. I centotrentatre ancora riuniti nell’album sono a guazzo su carta vergata, con l’inconfondibile tratto veloce di Goya. Spesso la forza dell’inchiostro e la finezza del supporto fanno trasparire sul verso, lasciato bianco, la sagoma delle figure. Il guazzo è piuttosto asciutto, e in certi casi s’individua il segno lasciato dai peli del pennello. Ogni vignetta progressivamente diventa, foglio dopo foglio, sempre più cupa, rappresentando l’umanità che più dovette soffrire le conseguenze della guerra e dell’Inquisizione. Talvolta sono scene visionarie, anche se non proprio grottesche, e riflettono temi cari al pittore anziano, che qui poté esprimersi con maggior libertà rispetto ai dipinti destinati al pubblico. Colpiscono soprattutto le scene di tortura, e certo le didascalie poste da Goya lasciano poco spazio all’immaginazione: «Non si può guardare », «Meglio non apra gli occhi», «Che crudeltà!», «Meglio morire». Oltre alle torture, ci sono incubi e visioni trasmutati dalla realtà in uno dei periodi più bui della storia spagnola. Goya si conferma anche qui artista sensibile alle aspirazioni di libertà, ragione e giustizia in cui ripose speranza nel triennio di politica liberale, fra 1820 e 1823. Francisco de Goya a cura di José Manuel Matilla e Museo Nacional del Prado Skira, Milano 2020 306 pp., 150 ill. colore edizione in cinque lingue € 40