“pintor del rey”

Nel 1786 Goya, che ha già otto figli - l’ultimo, Javier, nato nel 1784 e unico a sopravvivergli -, è nominato “pintor del rey” insieme al cognato Ramón Bayeu.

Può annunciare all’amico Zapater: «Chi desidera qualcosa da me mi cerca, e io mi faccio desiderare di più, e se non è un personaggio elevato socialmente, o con raccomandazioni di qualche amico, non farò niente per nessuno». È la rivalsa alle umiliazioni subite. Guadagna ventottomila reali all’anno, si compra una carrozza, partecipa alla vita di corte. È un pittore reale, un intellettuale alla pari degli amici illuministi, con tanto di fiocco al collo e occhiali. Anche la sua arte subisce un’accelerazione vertiginosa e si sgancia dagli ultimi legami con il formalismo neoclassico.

Riprende a dipingere i cartoni per gli arazzi, commissionati da Carlo III. Per la sala da pranzo del re nel palazzo del Pardo realizza, tra il 1786 e il 1787, quattro cartoni con le stagioni: Le fioraie (La primavera), L’aia (L’estate), La vendemmia (L’autunno), La nevicata (L’inverno), conservati nel Museo del Prado. La primavera è un tripudio di fiori: una giovane donna inginocchiata porge una rosa a una figura femminile in piedi, col grembo pieno di fiori, un’ideale Flora che tiene per mano una bambina. Un uomo, dietro di lei, sta per farle una sorpresa con un leprotto. L’estate è rappresentata da un gruppo di mietitori durante il riposo in un’atmosfera che anticipa quelle di Courbet e Millet. La natura non è più uno sfondo convenzionale, ma uno spaccato di realtà. L’autunno coglie una scena idilliaca durante la vendemmia: un aristocratico porge a una gentildonna un grappolo che un bambino cerca di prendere, mentre una contadina, vicino a loro, sostiene sul capo un cesto d’uva.


L’aia (L’estate) (1786); Madrid, Prado.