L'interesse di Bartolomé Murillo (1617-1682) per il mondo dell’infanzia si inserisce nello scenario di una Siviglia afflitta da povertà ed emarginazione, travagliata da una profonda crisi di valori.
Sensibile alle misere condizioni di vita della popolazione andalusa e in particolare dell’infanzia abbandonata a se stessa e priva di risorse, l’artista, con spirito non rivoluzionario ma di solidarietà e di partecipazione, fa sentire la sua voce.
A partire dalla metà del XVII secolo inizia a realizzare opere che, oltre a illustrare il dramma di un fenomeno molto diffuso nella città di Siviglia, mirano a sensibilizzare la classe delle “capas negras” (nobiltà e ceti urbani) e a indurla ad assistere poveri e diseredati per alleviare il loro malessere.
Questo obiettivo che Murillo intende perseguire, sollecitato da un sincero spirito di carità, che coincide con le idee dei trattatisti dell’epoca (convinti che fosse preciso dovere dei ceti abbienti sostenere chi viveva nell’indigenza e nella miseria), lo porta a narrare la storia patetica e commovente del Bambino che si spulcia (1650 circa), solo in una casa che sta cadendo in rovina.
Con questo tipo di rappresentazione, poco frequente nella scuola spagnola, Murillo dà l’avvio a un genere e a uno stile personalissimi che saranno molto apprezzati fuori dalla Spagna per tutto il Settecento e buona parte dell’Ottocento.
