Il 28 dicembre del 1563 Michelangelo Buonarroti, quasi novantenne, malato e stanco, nella sua casa in Macel de’ Corvi a Roma, scriveva la sua ultima lettera all’amato nipote Leonardo, poche righe meno dritte del solito macchiate di inchiostro, che terminano con un avvertimento: «La mano non mi serve; però da ora inanzi farò scrivere altri e io soctoscriverò. Altro non m’achade». Quella mano che con tanta foga aveva fatto nascere capolavori straordinari, quella mano ormai malferma, artritica, nodosa che tanto a lungo aveva vissuto e lavorato con amore e sofferenza, a quel punto avrebbe potuto apporre solo qualche firma su pagine vergate da altri. Infatti la lettera seguente, datata 14 febbraio 1564, in cui Michelangelo chiedeva al nipote Leonardo di raggiungerlo al proprio capezzale, venne scritta da Daniele da Volterra che assisteva amorevolmente giorno dopo giorno Michelangelo insieme agli altri amici di sempre, Tommaso Cavalieri e Diomede Leoni, ai fedeli servitori e ai medici. Leonardo Buonarroti non fece in tempo ad arrivare: venerdì 18 febbraio, il grande artista moriva «senza far testamento ma da perfetto cristiano », come raccontò Diomede Leoni. Dopo qualche settimana, per evitare gli impedimenti di papa Pio V, Leonardo trafugò il corpo dello zio defunto, sistemato nella chiesa dei Santi Apostoli, e lo portò, nascosto in una balla, a Firenze. Nella città toscana, per mesi, la salma del grande artista venne esposta «per lo concorso de’ popoli» (Vasari 1568) nella sagrestia di Santa Croce, la chiesa a pochi passi dalle case Buonarroti dove poi sarebbe stato edificato il monumento funebre.
Grandi mostre. 4
Michelangelo a Roma
L’eterno
moderno
Nel 450° anniversario della morte, una grande mostra, nel cuore di Roma, propone il tema della complessità dell’opera e della poetica di Michelangelo
Buonarroti.
Un percorso imperniato sui temi centrali della sua produzione, fondata sul loro rapporto dialettico tra spinte contrastanti, in una
costante, modernissima tensione al superamento dei limiti verso la bellezza ideale e la virtù sublime.
Elena Capretti