CATALOGHI E LIBRI GIUGNO 2014 Ai suoi tempi tanto amato ma altrettanto detestato, si potrebbe dire di Baccio Bandinelli, scultore fiorentino (Firenze 1493-1560): «Universale artefice», secondo Vasari, che gli dedica una delle biografe più ampie fra quelle delle sue . Tanto amato dai Medici, fra i quali i due papi Leone X e Clemente VII, e il duca Cosimo I, che lo nominò scultore di corte. Ma anche tanto odiato, come testimonia Vasari. Fra tutti, è noto il giudizio assolutamente negativo del grande e umoroso rivale, Benvenuto Cellini, che gli dedica parole memorabilmente salaci nella sua autobiografia: l’ di piazza Signoria a Firenze, per esempio, era per Cellini «un saccaccio di poponi appoggiato a un muro». Nonostante questo, Bandinelli, fra l’altro abilissimo disegnatore, nella migliore tradizione fiorentina, riceve committenze straordinarie, soprattutto a Firenze: oltre a opere come il del Louvre, magnifico esercizio giovanile, e la , unico dipinto certamente autografo, esposte con molte altre nella spettacolare mostra fiorentina del Bargello, (1493- 1560), fino al 13 luglio, di cui questo libro è l’imponente catalogo, rammentiamo il , copiato dal gruppo antico scoperto a Roma nel 1506, e il monumento a Giovanni dalle Bande Nere in piazza San Lorenzo, a Firenze, quasi in faccia alla basilica, con un raffinatissimo basamento a rilievo, ignorato da turisti e passanti, ma amatissimo dagli storici dell’arte, primo fra tutti, nel secolo scorso, Federico Zeri. Il catalogo, disponibile anche in eBook, è un’eccezionale monografia su Baccio Bandinelli: finalmente sono studiati, documentati, messi a confronto, da studiosi di fama mondiale, non solo i più celebri gruppi marmorei ma anche disegni, bronzetti, medaglie, cere, rilievi. Sono compresi anche i monumenti pubblici, tutti commentati, a costituire il primo vero e proprio corpus dell’opera di Bandinelli, che in tempi di pericolo pare nascose alcune sue opere nel terreno della sua casa a San Domenico (e mai sono state ritrovate). BACCIO BANDINELLI SCULTORE E MAESTRO Vite Ercole e il Caco Mercurio Leda e il cigno Baccio Bandinelli scultore e maestro Laocoonte degli Uffizi A cura di Detelf Heikamp e Beatrice Paolozzi Strozzi Giunti Editore, Firenze 2014 624 pp., oltre 300 ill. colore € 46, ebook € 19,99 CON TOTALE ABNEGAZIONE Il 25 dicembre 2013 è stato il cinquantesimo anniversario della morte di Tristan Tzara, pseudonimo del rumeno Samuel Rosenstock (Moine¸sti 1896 - Parigi 1963), promotore nel 1916, a Zurigo, di Dada, del quale pubblicherà a Parigi, nel 1924, il manifesto: . A Parigi dal 1919, Tzara è vicino a Breton, al gruppo di “Littérature” e ai surrealisti, in un rapporto controverso, anche se proprio lui codificherà temi, teorie, aspirazioni dada. Nel 1947 aveva tenuto alla Sorbona una conferenza, poi pubblicata come (qui tradotta, insieme alle successive postille). Tzara rifiuta il consueto dualismo “azione/ sogno” dell’arte. Il surrealismo ha fallito gli scopi, non ha più lo slancio destabilizzante di Dada, e l’artista deve avere un coinvolgimento totale nella società, «senza compromesso alcuno», «con totale abnegazione», appunto. Sept manifestes Dada Le surréalisme et l’après-guerre Tristan Tzara, traduzione di Flavia Vadrucci Castelvecchi, Roma 2013 72 pp. € 9 LUCA SIGNORELLI A CITTÀ DI CASTELLO «D’ingegno e spirito peregrino »: così, a fine Quattrocento, Giovanni Santi, padre di Raffaello, elogia Luca Signorelli (Cortona 1445-1523) nel famoso “catalogo” in rima degli artefici giudicati i migliori all’epoca (fra cui anche Van Eyck e Van der Weyden). In quegli anni, tuttavia, Signorelli non compare in un altro sintetico resoconto sui pittori che vanno per la maggiore: nella lettera per il duca di Milano, l’agente incaricato a Firenze d’assumere artisti per la certosa di Pavia segnala artefici che si erano mostrati abili frescanti anche a Roma. Signorelli in realtà figura proprio fra i pittori della Sistina, e a lungo aveva lavorato nella Firenze dei Medici; ma forse al tempo era già a Città di Castello, città per lui fondamentale, come ora questo libro chiarisce. Comunque, nella teoria evoluzionistica di Vasari, che vede in Michelangelo l’apice della perfezione, Signorelli risulta un cruciale precedente. Il giudizio influenzò in modo determinante la fortuna critica del pittore, che nell’arco di una lunga carriera nell’Italia centrale aveva fuso con sapienza e originalità elementi diversi: linearità del disegno fiorentino, effetti luministici di Piero della Francesca, dinamicità dei corpi, indagati con esattezza anatomica. Le sue indagini furono molto importanti anche per il giovane Raffaello. Dopo le mostre recenti e l’aggiornata monografia di Tom Henry ( , 2012), questo bel volume fa dunque luce, con ricca documentazione, sull’attività del pittore a Città di Castello, a trenta chilometri dalla sua Cortona. Qui, alla fine del XV secolo, prosperava la dinastia dei Vitelli, vicini ai Medici. I saggi di Henry, Borsi e Ricci Vitiani offrono nuove attribuzioni su dipinti ancora in chiese e musei della zona, con aperture anche su misteriosi epigoni, come il cosiddetto Giovanni Battista 1492. Notevole anche la proposta che nel notissimo ritratto di Berlino di un anziano che incombe sullo sfondo di figure e rovine classicheggianti sia da riconoscere un tifernate che appoggiava i Vitelli: Niccolò di Manno Bufalini. The Life and Art of Signorelli A cura di Giuseppe Sterparelli Petruzzi Editore Città di Castello 2013 176 pp., 65 ill. colore, 6 tavv. € 25 Nonostante Michele Dantini ci abbia ormai abituato alle sue indagini del tutto inedite, per metodi e profondità critica (ricordiamo libri e saggi su Cézanne, Klee, Manzoni, Paolini e le geopolitiche dell’arte contemporanea), ogni volta i suoi scritti “spiazzano” piacevolmente per una visione che sempre scardina qualche luogo comune. Capita spesso di sentire in trasmissioni televisive per il largo pubblico, ma anche di leggere su riviste impegnate, che dopo il tal artista delle avanguardie «l’arte non è più stata la stessa», e che il talaltro artista «è stato il primo a negare per sempre l’arte del passato». Niente di più fuorviante o perlomeno generico e impreciso, sembra rispondere Dantini. In questo caso, i saggi riuniti riguardano tre casi esemplari di quella che lui chiama «discrezione artistica»: Marcel Duchamp, Jasper Johns, Alighiero Boetti. Duchamp amava dichiarare di essere un maestro di “clandestinità” ed esoterismo. Johns invece, come per altri versi Boetti, eredita «l’istanza sibillina di Duchamp»ma ugualmente utilizza metodi seriali per annullare «l’ego autoriale». Così, anche se in apparenza c’è riserbo, o meglio discrezione, nell’ammettere le proprie fonti d’ispirazione, in realtà essi giocano con lo spettatore come gatto e topo. La macchina e la stella sono due segnali modernisti fra i tanti, che l’autore prende a esempio, soffermandosi ovviamente sulla tonsura a stella della celebre fotografia che ritrae Duchamp di schiena, in poltrona, con la pipa in bocca (1919-1921 circa), e sulla bandiera a stelle e strisce (1954-1955) e altri «dischi rotanti, calchi, catastrofi» di Jasper Johns, negli anni Sessanta. O, ancora, sul Grande vetro (1915-1923) di Duchamp, che molto deve al simbolismo di Moreau, maestro anche di Matisse. Dantini si sofferma anche su affinità meno eclatanti, come, fra le tante, nei Vedenti di Boetti (1972), ispirati ai Monumenti presso G., del 1929, di Paul Klee. Il museo del passato esiste anche per le avanguardie, ci spiega l’autore in questo libro da leggere d’un fiato. MACCHINA E STELLA Tre studi su arte, storia dell’arte e clandestinità: Duchamp, Johns, Boetti Michele Dantini Johan & Levi, Milano 2014 92 pp., 9 ill. b/n € 9