Fuori dagli schemi, così si prospetta la prossima Quadriennale di Roma a Palazzo delle esposizioni. Curata a quattro mani da Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, propone un percorso inedito dell’arte italiana dagli anni Sessanta a oggi, libero da canoni narrativi, display allestitivi, appartenenze di genere (artistiche e identitarie), discipline e linguaggi tradizionali. Cosulich e Collicelli Cagol la definiscono una mostra eccentrica, perché apre a uno sguardo trasversale su ciò che è “altro”, su ciò che non rientra in quanto finora ritenuto centrale, legittimo, attuale.
Una mostra dunque fuori dal centro e anche un po’ fuori luogo, come affermano ancora i curatori, che attraverso le opere di quarantatre artisti (da
Lisetta Carmi, classe 1924, al collettivo Tomboys Don’t Cry, formatosi nel 2011) traccia una nuova cronistoria dell’arte contemporanea in Italia.
Gli eventi delle due date scelte per presentare (durante la prima conferenza stampa) e per segnare il limite temporale entro cui si inserisce questa
ipotesi di lettura ne mette immediatamente in luce l’atipicità, oltre al tema ricorrente che dà il titolo alla mostra: il “fuori”.

1939: gli artisti di origine ebraica Corrado Cagli, Resita Cucchiari, Ulvi Liegi e Roberto Melli rimangono (non per loro volontà) fuori dalla III
Quadriennale d’arte nazionale, dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali. 2020: lo scrittore e narratore Luca Scarlini dichiara che il tie-dye,
ovvero la tintura a riserva dai colori accesi tanto amata dagli hippies, non è più fuori moda. Ma in mezzo, in quel cruciale decennio che ha visto
nascere le neoavanguardie e che ha gettato le basi per il postmodernismo, ci sono anche la pubblicazione di Antirinascimento di Eugenio
Battisti (1962) e di Autoritratto di Carla Lonzi (1969), che hanno introdotto un modo di fare storia e critica d’arte fuori dalle regole; la
mostra Campo Urbano (1969), curata da Luciano Caramel a Como, che ha portato l’arte fuori dagli spazi istituzionali e privati(*); la manifestazione di F.U.O.R.I., il Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, in campo de’ Fiori a Roma (1972), di cui l’attivista
Mariasilvia Spolato è diventata il simbolo.
Ci sono voluti tre anni di intenso lavoro di ricerca per ricostruire questa contro-narrazione
dell’arte italiana contemporanea, costellati da una serie di workshop tematici itineranti per artisti e curatori (Q-Rated); da un assiduo lavoro, da
cui nasce anche il progetto affidato al già citato Scarlini di riattivare i materiali dell’Archivio Biblioteca della Quadriennale attraverso
racconti performativi; dalla tessitura di rapporti istituzionali internazionali per promuovere la presenza dell’arte italiana all’estero (con il
programma di finanziamento Q-International).
Il risultato è una mostra che si estende su ben quattromila metri quadrati del Palazzo delle esposizioni seguendo un percorso diviso in tre aree tematiche principali: “il palazzo”, ovvero la relazione tra arte e potere, e l’intento di portare dentro ciò che di solito resta fuori dai contesti istituzionali; “il desiderio”, che si esprime nelle ossessioni e pulsioni erotiche di quegli artisti che tirano fuori il proprio mondo interiore; “l’incommensurabile”, ciò che oltrepassa la misura, che sta fuori da classificazioni binarie e visioni normativizzanti, in una parola, il queer. L’allestimento, di Alessandro Bava, è stato pertanto ideato per attutire la presenza del palazzo e dare il giusto spazio a ogni singolo artista o collettivo con piccole retrospettive e opere inedite, alcune delle quali realizzate per l’occasione. Anche il catalogo, edito da Treccani, è diviso in tre sezioni: la prima dedicata alla mostra, la seconda a nuove metodologie per lo studio e la comprensione dell’arte contemporanea italiana e la terza agli approfondimenti dei workshop tenutisi in preparazione della Quadriennale 2020.