Ha le mani di una bambina, piccole e paffute. La faccia grande, di una donna di mezza età, segnata da rughe profonde. È alta poco più di una bambola. Da cinque secoli guarda dall’alto in basso i visitatori, fissando nei loro i suoi occhi scuri. Per cinque secoli l’hanno chiamata “la nana del Mantegna”. Perché fu Andrea Mantegna a dipingerla, tra il 1465 e il 1474, sulle pareti della Camera degli sposi nel torrione nord orientale del castello di San Giorgio, a Mantova.
In realtà si chiamava Lucia. Ma il suo nome si era perso. Come quello della moltitudine infinita degli anonimi che Michel Foucault etichettò «hommes
infâmes», non perché senza morale, ma perché privi di fama, di voce, di racconto di sé. Tra questi spiccavano i buffoni di corte, segnati dalle più
varie disabilità: nani, gobbi, pazzi, stolti che dai tempi più antichi e fino al secolo dei Lumi rappresentarono una delle più sofisticate e crudeli
manifestazioni del lusso delle case regnanti. Usati come oggetto di curiosità e di sollazzo, come buffoni e giullari, spesso come compagni di gioco dei
bambini, erano ritenuti proprietà privata, e come tale vezzeggiati, nutriti, agghindati, e qualche volta ritratti in seno alla famiglia che li
possedeva.
Per lungo tempo si è pensato che i Gonzaga avessero costruito per i nani un appartamento in miniatura dentro Palazzo ducale. Ancora nel 1914 la guida
rossa del Touring ne riportava la descrizione: quattro salette, scale, corridoietti e camerini minuscoli, dove i visitatori camminavano curvi, a fatica.
Finché non si è scoperto che l’appartamento è in realtà una riproduzione ridotta della Scala santa di Roma, davanti a San Giovanni in Laterano.
C’erano nani alla corte spagnola, come Maribárbola e Nicolasito Pertusato, al servizio della famiglia reale «con paga, raciones y cuatro libras de nieve
durante el verano», ritratti da Velázquez in Las meninas. E nani alla corte di Pietro il Grande in Russia e a quella dei Medici a Firenze, dove
Morgante fu dipinto nudo dal Bronzino e scolpito dal Giambologna a cavallo di una lumaca. Spesso venivano chiamati con soprannomi irridenti, come
Gigante, Diamante, Bocciolo, Barbino.