Arte in conflitto


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di Federica Chezzi

Il sequestro di trecento studentesse da parte del gruppo estremista Boko Haram è una delle tante atrocità radicate nel tessuto socioculturale dello stato più popoloso del continente africano: la Nigeria

Riuscite a immaginare un poeta condannato a morte per aver contestato l’attività della multinazionale anglo-olandese Shell? Io no, non ci riesco. Eppure lo scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa è morto così. Impiccato nel 1995 assieme ad altri otto attivisti che chiedevano giustizia per i danni ambientali e sociali provocati dalla Shell nel Delta del Niger. Mentre è in carcere in attesa del processo (con una menzognera accusa di istigazione all’omicidio), gli viene anche conferito il premio ambientalista Goldman Environmental Prize; per lui si muovono Clinton, Mandela e molti altri. Ma Ken Saro viene assassinato, in gran segreto, mentre tutta la nazione è in festa per la vittoria della nazionale nigeriana all’Afro-Asian Cup of Nations. Saranno gli ultimi versi scritti da questo autore ad accompagnare il racconto sullo stato dell’arte in Nigeria. 


La vera prigione
Non è il tetto che perde
non sono nemmeno le zanzare che ronzano
nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
insufficienti per uomo o bestia.
Neanche il nulla del giorno
che sprofonda nel vuoto della notte.
Non è
Non è
Non è


Con più di centosessanta milioni di abitanti la Repubblica federale di Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa. I suoi trentasei stati federati hanno ampi poteri decisionali, così ampi che in ben dodici stati del Nord è stata addirittura introdotta la “sharia”, la legge islamica, nell’ordinamento giudiziario. L’astenia dei governi civili succedutisi dal 1999 (dopo trent’anni di dittature), dovuta alla corruzione politica e alle impunite violenze perpetrate dai militari, ha infatti aumentato le tensioni e il proliferare di movimenti terroristici come quello di Boko Haram, responsabile dell’ultimo rapimento di quasi trecento ragazze prelevate da una scuola laica (il nome del gruppo si traduce peraltro con un grottesco: «L’educazione occidentale è sacrilega»). 

L’arte, ovviamente, non può sottrarsi al ruolo di testimone della violenza diffusa nella società nigeriana, e tristemente emblematico è il caso di Jelili Atiku (Ejigbo, 1968). Performer conosciuto in tutto il mondo, Atiku ha scelto la strada, lo spazio pubblico, come luogo privilegiato delle sue esibizioni. Ma pochi mesi fa un gruppo di “vigilantes” pagati dagli stessi cittadini, che non si sentono sufficientemente protetti dalle forze armate regolari, lo ha violentemente aggredito: un paradosso sul quale insiste lo stesso artista convinto che le radici della violenza siano politiche. Anche il sudafricano Pieter Hugo (Cape Town, 1976) lavora indagando i fenomeni sociali delle realtà africane e uno dei suoi reportage più noti, The Hyena Men, è realizzato proprio in Nigeria. Dedicato a una comunità di domatori di iene, il suo lavoro, racconta l’artista, è nato da una foto scattata col cellulare che circolava insistentemente sui social network; così crescono i lavori di Hugo, accurate ricerche scaturite dall’osservazione dei fenomeni di massa del momento. E così nasce anche la serie Nollywood, nome che definisce il cinema prodotto in Nigeria, un fenomeno di massa tutto nazionale ma dalle proporzioni davvero incredibili: soltanto il 2% della popolazione nigeriana non guarda i film di Nollywood! Durante un viaggio in Nigeria, infatti, dapprima infastidito da questa produzione e dalla sua totalizzante diffusione, Hugo decide infine di esplorarne il vincente immaginario trash, immortalandolo in fotografie divenute celebri, e i cui riferimenti si trovano persino in un video di Beyoncé (in un altro di Nick Cave, invece, si trova un’allusione al suo Hyena Men).


Pieter Hugo, The Hyena Men (2005-2007).


Jelili Atiku, Corpus Cal-lu-sum, Ejigbo (Lagos, Nigeria) 2010.


Pieter Hugo, immagine della serie Nollywood (2009).