Il contributo di Charles Rennie Mackintosh alla storia dell’architettura, in termini soprattutto di innovazione, è tale da aver oscurato un aspetto della sua personalità artistica assai interessante: l’attività di acquerellista e pittore. Ogni architetto è in primis buon disegnatore (almeno prima dell’avvento di Autocad) e Mackintosh non fa certo eccezione.
Inoltre, il suo contributo alle arti visive si inscrive in una scuola di pensiero che, dall’Ottocento in poi, tenta di riunificare le cosiddette arti applicate (design, decorazione) con la pittura e l’architettura, considerate arbitrariamente arti più nobili.
Nel solco di William Morris, l’opera di Mackintosh contribuisce al rinnovamento del concetto stesso di arte, modernizzandolo e ampliandolo. Successivamente, gli oggetti si emanciperanno ulteriormente: sia grazie alla loro bellezza legata alla funzione (Bauhaus), sia grazie alla loro democratica irruzione sulla scena dell’arte (avanguardie storiche e Pop Art).
Nato a Glasgow nel 1868, a ventitré anni Mackintosh comincia a usare l’acquerello come strumento per raccogliere dettagli architettonici del suo Grand Tour in Italia. Ma già l’anno successivo sperimenta l’uso di questa tecnica in termini non meramente descrittivi. Il risultato è un repertorio di chiara matrice simbolista: figure languide e sognanti, donne alate evanescenti e piante dall’aspetto minaccioso. Di questo periodo restano solo le immagini pubblicate da “The Magazine” e l’unico disegno sopravvissuto è Luna piena (1892).
