Il gusto dell'arte


birra
mon amour

di Ludovica Sebregondi

Un momento di vita della società olandese nel Secolo d’oro in una giornata estiva

L'antichissimo “vino d’orzo”, legato nella seconda metà del Novecento nell’immaginario mediterraneo all’estate e al senso di freschezza di una birra ghiacciata, o al binomio pizza e birra, sta sempre più assumendo valenze diverse, soppiantando nei gusti - soprattutto dei giovani - il “vino d’uva”, più impegnativo. Apprezzatissima in Egitto, la birra non lo era altrettanto a Roma, dove veniva chiamata “cervisia”, denominazione transitata poi nello spagnolo “cerveza”. 

A lungo il confine tra la terra della birra e quella del vino fu geografico: la prima era la bevanda tradizionale di molti popoli del Nord e dei paesi della Riforma protestante, anche perché - a partire dal XVI secolo - i produttori ottennero una qualità migliore e una produttività maggiore grazie al controllo della fermentazione dell’orzo. Anche nell’Italia settentrionale, però, la produzione e il consumo di birra erano elevati: famosissima quella del monastero di Bobbio, che per tutto l’Alto Medioevo è stato il maggior centro di fabbricazione europeo. La birra era legata alla dieta del mondo barbarico basata su carne, soprattutto suina, latticini, pappe d’avena e focacce d’orzo, in contrasto con quella mediterranea con la sua tradizione di olio, verdure, carni ovine e formaggi. 

Dal Seicento la birra divenne bevanda nazionale tedesca, inglese, danese e dei Paesi Bassi del Nord, tanto da spuntare di frequente nelle nature morte e nelle scene di genere olandesi del XVII e XVIII secolo. Compare per esempio in questa del pittore Pieter de Hooch, che nacque a Rotterdam nel 1629 e morì cinquantacinquenne ad Amsterdam, dopo aver lavorato nella cittadina di Delft dal 1652 al 1660, contemporaneamente al più celebrato Vermeer. De Hooch raffigurò scene di vita familiare della borghesia locale in ritratti o in immagini di routine che ottennero grande successo per la chiarezza prospettica e compositiva, l’armonia della luce, la sapiente riproposizione di elementi quali porte, finestre, persiane e piastrelle, ma soprattutto per la capacità di restituire una rassicurante quotidianità. 

In una chiara giornata d’estate due uomini, una giovane e una bambina sono raffigurati in un cortile cittadino con la Nieuwe Kerk di Delft in lontananza. Un’elevata recinzione di legno delimita sul fondo la corte e si collega a un muro di mattoni chiazzato dal sole, in cui si apre una porta che introduce, grazie a bassi gradini, in un boschetto scuro con alberi dal tronco sottile che svettano verso il cielo. Il muro si collega all’angolo della parete della casa, di cui si distinguono due grandi finestre, una delle quali ha l’imposta aperta. Anche il pavimento della corte - non perfettamente in pari, ma con dolci avvallamenti - è rivestito degli stessi, piccoli, mattoni. 

I due uomini siedono con espressione soddisfatta: uno, a gambe larghe con la mano sul ginocchio, si è alleggerito del mantello che ha poggiato su una staccionata e fuma una lunga pipa; l’altro, un soldato, come attesta la corazza, ha deposto la sua sul tavolo. Tiene in mano una brocca utilizzata per riempire di birra uno speciale bicchiere di vetro utilizzato per i “Trinkspiele”, i “Drinking games”, cioè i “giochi alcolici” codificati da lungo tempo nei paesi nordici, ma che in Italia non hanno una denominazione antica. Per il gioco raffigurato nel dipinto ogni partecipante doveva bere fino a una linea circolare segnata sul vetro del bicchiere; qualora non avesse raggiunto il livello esatto avrebbe dovuto bere fino all’anello successivo e, solo quando vi fosse riuscito, il bicchiere sarebbe passato al giocatore seguente. Nella scena lo speciale bicchiere, dotato di piede e dalla forma allungata, è in mano alla giovane che partecipa al gioco bevendo in piedi davanti al tavolo: lo sguardo soddisfatto e ammiccante del soldato, la posizione incurvata e concentrata della donna, indicano che essa non sta riuscendo nell’intento. Il gioco assume così valenza erotica, per la chiara volontà dell’uomo di inebriarla, allentandone le difese. Una bambina sopraggiunge portando un piccolo braciere colmo di carboni ardenti per permettere di accendere le cosiddette “pipe di gesso” dal lungo cannello e dal caratteristico colore bianco dell’impasto ceramico: l’accoppiata birra e fumo era infatti assai diffusa. 

Il dipinto è tra quelli realizzati da De Hooch tra il 1655 e il 1662, periodo in cui crea i suoi capolavori, nei quali riesce a restituire con precisione il contesto culturale e sociale, documentando la società olandese del Secolo d’oro. Un mondo che il pittore rende con affettuosa indagine psicologica, in cui la borghesia sta emergendo e in cui anche la birra gioca un ruolo. 

È sempre piaciuta a molti, la bevanda, ma non a Michel de Montaigne che, negli anni Ottanta del Cinquecento, scriveva nei Saggi: «L’educazione ha potuto questo su di me, se pure, a dire il vero, non senza qualche sforzo: che a parte la birra, il mio appetito si adatta a tutte le cose di cui ci si nutre».


Pieter de Hooch, Un cortile fiammingo (1658-1660), particolare, Washington, National Gallery of Art.


Pieter de Hooch, Un cortile fiammingo (1658-1660), intero, Washington, National Gallery of Art.