Intervista
William Kentridge

OMBREIN CAMMINO

Abbiamo intervistato William Kentridge, artista di fama internazionale, che con le sue opere dà voce tanto alla sua storia personale quanto a quella politica e sociale.
Una conversazione ampia, in cui si parla di segni, monumenti abbattuti, vanità e attivismo.

Sara Benaglia, Mauro Zanchi

William Kentridge, dalle sue opere pare emergere una predilezione per ciò che è imperfetto. La sua arte è vicina alla sofferenza umana e rifugge ciò che è eccessivamente intellettualizzato. Ama la semplicità sintetica del disegno a carboncino, il segno derivato dalla pressione di un torchio sulla carta e dà consistenza alla presenza effimera delle ombre. Ci può raccontare come è nata l’idea di far convivere la complessità del segno grafico tradizionale con i cortometraggi animati, trovando una maniera molto poetica di raccontare metafore, visto che per sua ammissione lei si ritiene uno che preferisce disertare le avanguardie? 

I cortometraggi, realizzati attraverso una tecnica di cancellazione e ridisegno di tratti a carboncino, non sono nati con l’intenzione di produrre film d’animazione, ma da un processo costituito da numerosi disegni. Mi interessava registrare questo procedimento, in particolare volevo mostrare il momento in cui un disegno scompare e poi ritorna con altri segni. In un certo senso la tecnica conduce sempre al significato, in questo caso ha dato significato all’incorporazione della storia, della memoria, nel foglio di carta.


Frame dal video Shadow Procession (1999), proiettato in occasione della mostra William Kentridge, Respirare (Alba, Cuneo, chiesa di San Domenico, fino all’8 dicembre).