Grandi mostre. 1 
Equilibrium a Firenze

con i piedi per terra
o quasi

Camminare, danzare, muoversi in equilibrio come funamboli sospesi nel vuoto sono i temi della mostra in corso al Museo Salvatore Ferragamo, illustrata qui da uno dei curatori, dove sono riunite una novantina di opere di epoche diverse tra video, fotografie, dipinti, sculture che vedono, in particolare, negli artisti del secolo scorso una significativa testimonianza.

Sergio Risaliti

adetta del grande paleontologo André Leroi-Gourhan la storia dell’umanità inizia con i piedi. Nel corso di questa avventura, l’arco del piede ha avuto un compito di fondamentale importanza: sostenere il corpo umano sul posto e in marcia. In questo senso il piede sarebbe la chiave di volta della storia umana, più della clava o del fuoco, prima della ruota o dell’aratro. L’arco del piede è stata la massima preoccupazione dello stilista e creatore di scarpe Salvatore Ferragamo: far poggiare bene il piede a terra, sostenerlo, fare in modo che il peso del corpo possa essere scaricato a terra. Per far questo Ferragamo ha dedicato molto tempo a studiare la meccanica del piede, la sua anatomia, e poi le leggi scientifiche che determinano la camminata, l’architettura dello scheletro, il funzionamento della muscolatura, la distribuzione del peso tra centro dell’arco plantare, tallone e dita. Con gli strumenti opportuni, controllava il punto aureo della calzatura; servendosi, come gli architetti, del filo a piombo. Poi, precisava: «Il compito dell’arco plantare, però, va ben oltre il sostegno di un peso statico, non somiglia all’arco del portale di una chiesa. Deve sostenere il nostro peso in movimento. Perciò la natura ha munito il piede di articolazioni e perni che ci permettono di camminare comodamente». Ferragamo era dunque interessato alla meccanica del piede, intuendo che da questo dipendeva il benessere dell’individuo e anche la salute della sua clientela. In America, giovanissimo, si iscrisse ai corsi serali di anatomia della University of Southern California di Los Angeles convinto che la conoscenza approfondita dello scheletro lo avrebbe aiutato a realizzare le scarpe perfette. Alla fine riuscì a trovare la soluzione giusta: «Grazie a tali ricerche ho potuto fabbricare le mie forme rivoluzionarie che, sostenendo l’arco plantare, permettono al piede di muoversi come un pendolo inverso». A partire da queste premesse può essere sviluppata una ricerca sull’architettura del piede, sul camminare, e poi sull’equilibrio durante la deambulazione. Per trattare, di seguito, temi come quello della danza e del funambolismo. «L’uomo, primo dei primati ad adottare la stazione eretta, è anche il primo dei saltimbanchi. Osando ergersi sul suolo, esitare, avanzare poi, senza inciampare, trovare il suo cammino su due piedi, egli fu, tra i mammiferi, il primo funambolo a percorrere il filo invisibile della sua esistenza. Là dove gli altri della sua specie, incollati al suolo, strisciavano, saltellavano, zoppicavano, egli si slanciò». Con queste parole Jean Clair introduceva La Grande Parade, mostra parigina del 2004. Dove accostava la prima deambulazione umana all’esercizio di un funambolo che è figura chiave per alcuni celebri artisti del XX secolo.


«Ho sempre avuto l’impressione o la sensazione della fragilità degli esseri viventi, come se fosse necessaria un’energia formidabile per mantenersi in piedi»i



Nelle opere di Degas e di Picasso, di Klee e di Léger, di Marino Marini, Calder e Melotti, saltimbanchi e funamboli propongono una mitologia alternativa a quella della tradizione classica, e le figure dell’acrobazia e dell’equilibrio, comprese le “attitudes” e gli “arabesques” di un’aggraziata danzatrice, stanno tra la scimmia e l’angelo in volo, tra l’orango e l’Apollo del Belvedere. Mettendo in atto il suo paragone, Clair lanciava la volata a temi quali l’eterno peregrinare della nostra specie sul pianeta terra, il fascino del funambolismo, la sacralità della danza. Voltandoci indietro potremmo immaginare la distanza percorsa dai primordi a oggi, contare i passi compiuti dalla nostra specie per spostarsi e sopravvivere, per fuggire o raggiungere una meta. Così, le manifestazioni artistiche permettono di visualizzare un percorso conoscitivo sull’evoluzione della nostra specie circoscritta ai piedi piuttosto che al ventre, al sesso o alla mano. L’anatomia degli arti inferiori, così come si sono specializzati e plasmati dall’epoca dei primi ominidi, può, dunque, essere utilizzata per conoscere il destino dell’uomo e la sua affermazione sul pianeta. Prima delle parole e delle cose, sono i passi nello spazio e nel tempo a fare la differenza tra noi e gli altri esseri viventi. Le impronte dei nostri progenitori africani sono il preambolo necessario e fondante del Funambolo di Paul Klee. Le prime camminate nella Great Rift Valley, tra la Siria e il Mozambico, centinaia di migliaia di anni fa, giocano d’anticipo sulle figure di Rodin e di Giacometti che faceva notare come non sia facile stare in piedi su due gambe, camminare senza cadere: «Ho sempre avuto l’impressione o la sensazione della fragilità degli esseri viventi, come se fosse necessaria un’energia formidabile per mantenersi in piedi». A partire da questa constatazione si possono spiegare molte delle sue creazioni: come L’uomo che cammina e L’uomo che vacilla oppure sculture come La gamba. Assieme a quello del piede, della deambulazione, anche il tema dell’equilibrio permette una diversa lettura della storia dell’arte, della letteratura. Jean Starobinsky ha dedicato pagine straordinarie al tema dell’equilibrio, della vertigine e dell’ebbrezza, in particolare nel suo Portrait de l’artiste en saltimbanque. Nelle gesta dei funamboli, degli acrobati, dei saltimbanchi, nelle coreografie e negli esercizi di agilità, agiscono livelli dell’inconscio collettivo, affiorano sotto forma di esercizio ginnico strani collegamenti con i primi abitanti terrestri: «I saltimbanchi conoscono la parola d’ordine che permette di entrare nel mondo sovrumano della divinità e in quello subumano della vita animale». In altre parole l’acrobata si esercita, oggi come ieri, a contatto con l’aperto della vita della terra, con tutti i rischi e le avventure che questa ginnastica comporta. Non a caso, Nietzsche, filologo-filosofo esperto di apollineo e dionisiaco, ha pensato al funambolo quando ha sentenziato che l’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo. Da quel giorno, le due polarità sono il tratto distintivo dell’artista che nel saltimbanco riconosce il proprio doppio e la propria creatività schizoide. Il funambolo conquista l’aria, vive la vertigine dell’alto, fissa lo sguardo nell’abisso dei cieli, sorvola le teste sbigottite e stupite dei suoi simili che schiavi del proprio peso sono rimasti ancorati a terra. Tra l’aggettivo possibile e l’aggettivo impossibile, l’acrobata ha operato la sua scelta: ha scelto l’aggettivo impossibile. Ed è appunto nell’impossibile che egli vive, è l’impossibile che fa. Gli artisti moderni scelgono, infatti, la via dell’impossibile, rischiano il tutto per tutto. Per esempio Pablo Picasso, che offre immagini indimenticabili di acrobati in bilico sulla palla, saltimbanchi e maschere tristissime, piccole sinuose Salomè danzanti davanti a clown e cavalli con le ali. Una sorta di grave e misteriosa serenità aleggia nel circo di Picasso. Secondo Apollinaire è possibile associare l’agilità nell’acrobazia circense alle cerimonie funebri: «Il balzo dell’acrobata, l’agilità del contorsionista, l’audacia del funanbolo dovrebbero servire a tenere lontana la morte mimando l’incontenibile momento sorgivo della vita». Giocolieri e danzatrici sono tra i riferimenti prediletti di Marino Marini. Del mondo del circo avverte la misteriosa ritualità, la permanenza di una certa magia, la perturbante solitudine dei protagonisti alle prese sempre con l’impossibile e il vuoto. Nella fucina creativa di Marino nascono figli unici, incarnazioni di miti e di archetipi: il danzatore sulla corda, l’acrobata, il prestigiatore, il lanciatore di palle, il pagliaccio, la danzatrice, che trattiene in sé ogni possibile coreografia, esprimendo “slancio vitale” nella sola punta del piede. E le danzatrici sono l’altro grande tema dell’arte moderna, sicuramente da Canova in poi. Come non citare, infine, Degas e Rodin, Bourdelle e Julio González, la cui Danzatrice ha l’aspetto di un nobile insetto?



Salvatore Ferragamo con Audrey Hepburn e la scrittrice Anita Loos a palazzo Spini Feroni a Firenze nel 1954.

George Segal, Red Woman Acrobat Hanging From a Rope (1996), New York, George and Helen Segal Foundation.

Fernand Léger, litografia tratta da Cirque: lithographies originales (1950), Firenze, Biblioteca nazionale centrale.

Gino Severini, L’equilibrista (o Maschere e rovine), (1928).