“NONOSTANTE” LA FOLLIA

L’indagine iniziale di Jean Dubuffet nelle istituzioni psichiatriche svizzere ha alle spalle sia la tradizione francese di interesse per l’arte psicopatologica testimoniata dallo studio pionieristico di Marcel Réja nel 1907, sia gli studi di due psichiatri eterodossi, lo svizzero Walter Morgenthaler e il tedesco Hans Prinzhorn, che negli anni Venti, anche sulla scia dell’estetica espressionista, avevano attribuito alle opere dei loro pazienti un valore estetico e non puramente patologico.

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nfluente fu soprattutto il celebre e molto illustrato volume di Prinzhorn del 1922 La produzione plastica dei malati mentaligià fonte d’ispirazione per Paul Klee, Max Ernst e la generazione surrealista, e che Dubuffet conosceva bene: «Le immagini riprodotte nel libro di Prinzhorn mi hanno enormemente colpito da giovane.
Mi mostrarono il cammino ed ebbero su di me un’influenza liberatrice. Presi coscienza che tutto era permesso, tutto era possibile. Esistevano milioni di possibilità per esprimersi fuori dai sentieri culturali battuti».
Nel corso di quel suo primo viaggio di ricerca, Dubuffet incontra lo psichiatra Morgenthaler che gli mostra i lavori del suo protetto Adolf Wölfli (1864-1930), ricoverato a vita nel manicomio di Waldau presso Berna: uno straordinario codice miniato di venticinquemila fogli, colmo di riferimenti segreti, mappe di territori sconosciuti, decori simmetrici, notazioni musicali, a comporre un’ermetica autobiografia di eroe e sovrano, che con il nome di sant’Adolfo e poi di sant’Adolfo II, rovescia la sua sventurata storia reale di orfano povero e maltrattato. Se Wölfli diventerà per Dubuffet il classico per eccellenza dell’Art Brut, la sua opera sarà considerata da André Breton «una delle tre o quattro opere capitali del XX secolo» per quello «scarto assoluto della visione» che può assimilarla al surrealismo.


Josef Forster, Senza titolo (1916-1921); Heidelberg, Universitätsklinikum, Sammlung Prinzhorn.