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nfluente fu soprattutto il celebre e molto illustrato volume di Prinzhorn del 1922 La produzione plastica dei malati mentali, già fonte d’ispirazione per Paul Klee, Max Ernst e la generazione surrealista, e che Dubuffet conosceva bene: «Le immagini riprodotte nel libro di Prinzhorn mi hanno enormemente colpito da giovane.
Mi mostrarono il cammino ed ebbero su di me un’influenza liberatrice. Presi coscienza che tutto era permesso, tutto era possibile. Esistevano milioni di possibilità per esprimersi fuori dai sentieri culturali battuti».
Nel corso di quel suo primo viaggio di ricerca, Dubuffet incontra lo psichiatra Morgenthaler che gli mostra i lavori del suo protetto Adolf Wölfli (1864-1930), ricoverato a vita nel manicomio di Waldau presso Berna: uno straordinario codice miniato di venticinquemila fogli, colmo di riferimenti segreti, mappe di territori sconosciuti, decori simmetrici, notazioni musicali, a comporre un’ermetica autobiografia di eroe e sovrano, che con il nome di sant’Adolfo e poi di sant’Adolfo II, rovescia la sua sventurata storia reale di orfano povero e maltrattato. Se Wölfli diventerà per Dubuffet il classico per eccellenza dell’Art Brut, la sua opera sarà considerata da André Breton «una delle tre o quattro opere capitali del XX secolo» per quello «scarto assoluto della visione» che può assimilarla al surrealismo.
