che non sempre dispone di materiali canonici e per esprimersi ricorre a mezzi di fortuna con imprevedibili esiti inventivi. Né si perde d’animo per le capacità tecniche carenti o maldestre, alle quali supplisce con il proprio estro. Per esempio, uno degli autori storici della collezione di Dubuffet, Guillaume Pujolle (1893-1971), ricoverato in manicomio dal 1926 dopo alcuni episodi di violenza e delirio, usa per i suoi acquerelli liquidi farmaceutici sottratti all’ambulatorio dell’ospedale, come tintura di iodio, blu di metilene e mercurocromo, e per pennello una ciocca dei propri capelli, ottenendo grazie al suo disegno anamorfico effetti di puro surrealismo.
Spesso l’immagine si presenta come una materializzazione spontanea del metodo paranoico-critico elaborato da Salvador Dalí: in La morte del vecchio boero e del suo cavallo (1940) i contorni del cappello e del mantello del cavaliere configurano il profilo dei monti lontani e nel gruppo di forme presso la sua mano si delineano allo stesso tempo una testa di cavallo e un uccello.
Stereotipia, stilizzazione, decorativismo ossessivo, ripetizione seriale, “horror vacui”, combinazione di scrittura e immagine sono caratteri frequenti ma non esclusivi. L’ossessione dell’autoritratto è un modo per riprendersi un’identità negata dalle circostanze e magari renderla più eroica, come il russo Alexander Lobanov (1924-2003) che si rappresenta adottando le posture di Stalin o di un fiero combattente.