Nel caso dell’arte si riferisce a creazioni spontanee e non acculturate ma di grande originalità, prodotte fuori dal sistema ufficiale degli artisti di professione, delle mostre, delle gallerie e dei musei. Il progressivo riconoscimento estetico di queste opere anarchiche e irregolari è strettamente intrecciato con la storia dell’arte del XX secolo, che ha progressivamente spostato i confini e destabilizzato la visione, implicando una trasformazione dello sguardo che ai canoni classici preferisce la “forma perturbante“.
A inventare nel 1945 la dirompente nozione di Art Brut, in polemica con la cultura artistica ufficiale, è un artista francese, non a caso anche commerciante di vini: Jean Dubuffet, al termine di un celebre viaggio “iniziatico” in Svizzera, in compagnia di Le Corbusier e dello scrittore Jean Paulhan, alla ricerca dei “primitivi del XX secolo”, le cui opere scopre all’interno degli ospedali psichiatrici e, in seguito, nelle prigioni o nelle campagne più isolate. In comune con altri grandi artisti dell’età contemporanea, Dubuffet ebbe un atteggiamento di sfida verso l’eredità illuminista, amplificato dalla necessità di ripartire da zero dopo la catastrofe bellica. E, nel solco delle esplorazioni esotiche e africane che, da Gauguin alle avanguardie storiche, avevano rinnovato i linguaggi artistici dell’Occidente, decise di indagare se anche nei margini della società europea si celassero dei “valori selvaggi”, persuaso che solo l’innocenza del gesto artistico, sovvertendo i canoni, potesse restituire verità all’arte.

