la formazione e i primi successi:
firenze, napoli e parigi

Nato a Livorno nel 1859, agli albori dell’Italia unita, la sua consacrazione fu precoce,


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uando a soli ventitré anni ebbe dal Municipio della sua città natale la commissione del Ritratto di Giuseppe Garibaldi che rimane tra i risultati più alti raggiunti nella vasta e troppo ripetitiva iconografia dell’eroe dei due Mondi. Il dipinto ci colpisce, oltre che per una maturità tecnica nella resa di ogni dettaglio già straordinaria, per la qualità introspettiva e una ricerca espressiva che riflette la formazione di Corcos tra i due modelli seguiti a Napoli e a Parigi, grandi maestri come Domenico Morelli e Léon Bonnat. Resta, anche per la datazione certa, un punto fermo, a riprova di una maturità presto raggiunta da quando aveva iniziato, davvero precoce, la carriera artistica. Infatti il padre Isacco, che si era subito accorto delle inclinazioni del figlio e aveva preferito assecondarle, lo aveva affidato al modesto pittore livornese Giuseppe Baldini.
Ma già nel 1875, a sedici anni, lo troviamo in mani più sicure, ammesso direttamente al secondo anno del Corso di disegno presso l’Accademia di belle arti di Firenze, sotto la guida di uno dei protagonisti del movimento purista, il livornese Enrico Pollastrini. Ma, quando nel 1877 il giovane Corcos otteneva la medaglia d’argento per la «Figura, copia dal vero», il vecchio professore era morto da un anno e il suo riferimento era divenutoil grande ritrattista Michele Gordigiani, per cui nutrirà sempre un’incondizionata ammirazione. Lo commemorerà nel 1910 all’Accademia fiorentina, con accenti in cui pare riconoscersi nella figura e nella parabola di questo pittore non ancora adeguatamente rivalutato. Nascevano le prime fondamentali amicizie, in particolare quella destinata a durare tutta la vita con un altro ebreo di origine livornese, Mario Nunes Vais, destinato a dominare nel campo della fotografia d’autore dove fu senz’altro il maggiore e più richiesto ritrattista dell’epoca, a un certo punto in gara con Corcos nel rappresentare i protagonisti della cultura e della mondanità.
Ma l’ambiente fiorentino, ormai archiviata la splendida ma poco riconosciuta stagione macchiaiola, doveva stargli stretto, come al giovane Boldini che se ne era andato, già da un pezzo, a Parigi, e quindi lo ritroviamo nel 1878 a Napoli, grazie a una borsa di studio messa a concorso dal Comune di Livorno. Doveva seguire all’Accademia, riformata grazie a un decreto di Giuseppe De Sanctis, ministro della Pubblica istruzione, le memorabili lezioni del grande Domenico Morelli da lui considerato addirittura il «dio cui ha votato il culto più devoto», come ricorderà un articolo comparso su “La Critica” del 1885. In effetti il carismatico maestro napoletano deve essere stato decisivo anche per orientarlo, come faceva con tutti i suoi allievi, verso interessi letterari e musicali. Si mise a frequentare il teatro San Carlo, appassionandosi al melodramma. Gli esiti non tardarono a venire e nel 1880 uno dei suoi primi dipinti noti, L’arabo in preghiera (Napoli, Capodimonte) del tutto dipendente dallo stile di Morelli, venne acquistato dal re Umberto I alla mostra della Promotrice di Napoli.
I suggerimenti del carismatico professore dovevano essere stati decisivi nel determinarlo a quel passo che avrebbe rappresentato una vera svolta nella sua carriera. Nel 1880, ma questa data tradizionalmente accettata potrebbe essere anticipata di un anno, si era trasferito a Parigi, sicuramente sedotto dalla possibilità di entrare, come era avvenuto a Morelli, nella scuderia del potente mercante Goupil.
Intanto, senza un soldo, era costretto ad abitare in periferia e a dipingere ventagli da vendere alle case di moda. Ma doveva apparire già un tipo interessante, se non era sfuggito all’attenzione del sagace Edmond de Goncourt, il mentore degli italiani a Parigi come Boldini e De Nittis, che lo invitò alle «famose serate del Grenier» e gli «ordinò un ventaglio con tralci di rose, per regalarlo alla già anziana principessa Matilde Bonaparte, che dimostrò di averlo gradito invitando il giovane pittore nel suo ricercato salotto» (come ricorda la figlia di Corcos, Memmi). Seguirono altre grandi occasioni, incontri insperati come quelli con Flaubert che aveva trovato, ricorderà, «espansivo, esuberante, parla a voce alta e non vuole essere interrotto, ride rumorosamente » o con Zola, notato per l’«aspetto lugubre», dal «pallore cadaverico, due nerissimi occhi, parla poco, nervosamente».
Attività di ripiego, come quella di illustratore di spartiti musicali e di romanze per canto e pianoforte svolta per l’editore di musica Hengel per cui aveva già lavorato un altro italiano a Parigi, Francesco Paolo Michetti, gli diedero comunque la possibilità di acquistare i materiali, tele e colori, e ingaggiare la modella per il primo quadro: Le convittrici in chiesa venduto a Goupil. Del resto il soggetto corrispondeva al gusto per l’aneddoto mondano promosso da quell’abilissimo mercante. Vi comparivano «una suora inginocchiata, vestita di nero e vicino a lei in piedi due giovinette con le uniformi grigie di educande».
In questa circostanza era stato decisivo l’incoraggiamento da parte di De Nittis che, secondo il suo carattere, lo aveva accolto subito con calore, incoraggiandolo a dipingere per Goupil e fornendogli la modella. Questo dipinto, esposto nella vetrina del mercante, riscosse un grande successo e gli frutterà, seguendo dunque le orme di Boldini e dello stesso De Nittis, un contratto destinato a durare quindici anni, dunque ben oltre il ritorno nel 1886 in Italia. Significava il suo inserimento in un giro internazionale che toccherà l’Inghilterra e soprattutto l’America. Si tratta della tipica produzione di scenette galanti, aneddotiche in dipinti di piccolo formato caratterizzati da una straordinaria verve narrativa e da una impressionante, virtuosistica resa lenticolare. Rispetto a Boldini e De Nittis che avevano privilegiato le rappresentazioni in costume, di tema settecentesco o spagnolo, Corcos preferì i soggetti di vita moderna. Titoli, per esempio, come Vedremo e Dimmi tutto nel 1883, Idillio al mare, Mezzogiorno al mare e Il neonato nel 1884, Luna di miele nel 1885, che vennero riprodotti da Goupil in fotografie colorate di grande diffusione. In questa pittura sorprendente e accattivante, che può anche apparire leziosa - Ojetti dirà «tutto zucchero e rosolio» - , emerge soprattutto la suggestione di Tissot verso il quale mostrerà la sua ammirazione, trovandone «mirabili» gli acquerelli esposti nel 1894 all’esposizione del Champ de Mars.


Giuseppe Garibaldi (1882); Livorno, Museo civico Giovanni Fattori.

Luna di miele (1885). Riprodotto in “Le Figaro illustré” del 1885, questo acquerello, che rappresenta due giovani sposi sulla spiaggia intenti a leggere un libro, fa parte di quella serie di dipinti di piccole dimensioni rappresentanti scene di gusto aneddotico realizzati per il potente mercante Goupil a partire dal 1880, nel corso dei quindici anni in cui Corcos fu legato con lui da un contratto. Erano opere amate dal pubblico e dai collezionisti per i soggetti piacevoli, a sfondo sentimentale, resi con un realismo minuzioso che valorizzava ogni dettaglio.

Il neonato (1884).