Arte in conflitto

tra censura
e innovazione

Genialità, impegno sociale, provocazione, ironia e poesia sono le caratteristiche di un’arte fortemente legata alla sperimentazione e proveniente da un paese che punisce tragicamente chi osa uscire fuori dal coro: la Russia

Federica Chezzi

chi non ricorda il gesto osceno di Berlusconi che mima una sventagliata di mitra all’indirizzo di una giornalista russa? Davvero un’amabile gag per un paese che conta circa venti giornalisti assassinati ogni anno; omicidi, peraltro, rigorosamente senza responsabili. Com’è noto, voci indipendenti e opposizioni anti Putin vengono represse senza pietà ma il ruolo di vera intoccabile, da qualche anno, spetta alla Chiesa ortodossa. Oltre al celeberrimo caso Pussy Riot si ricorda, tra i tanti, il caso di Andrej Jerofejew, curatore dell’importante galleria statale Tret’ jakov di Mosca, processato, condannato e incarcerato nel 2010 per «istigazione all’odio religioso». Il pretesto? La mostra Arte proibita (si vedano i poliziotti dei siberiani Blue Noses). Dietro questi processi c’è ovviamente l’amministrazione del Cremlino che, spiega lo stesso Jerofejew(1), spinge per provocare uno scontro sempre più acceso tra i due poli spirituali e propulsivi dell’epoca postsovietica, la cultura moderna e la Chiesa. All’epoca postsovietica irride anche, nel suo Dialettica di un periodo di transizione dal nulla al niente(2), Viktor Pelevin, autore russo assurto al ruolo di star internazionale per i suoi racconti caustici e grotteschi:


Cosa faceva la gente sovietica? Edificava il comunismo. All’inizio sembrava che sarebbe giunto dopo la rivoluzione. Poi questa data cominciò a slittare sempre più avanti e infine divenne qualcosa tipo l’orizzonte: per quanto ci cammini incontro resta sempre dov’è. E allora, per segnare l’ultima frontiera come data di arrivo del comunismo l’anno Ottanta. Gli volammo incontro attraverso il cosmo, sotto la guida del partito, e finché anche un solo frammento di questa fede è rimasto vivo, tutto il mondo continuava a tremare sbalordito. Ma nell’anno Ottanta capimmo definitivamente che al posto del comunismo ci sarebbero state le Olimpiadi.


L’arte russa, peraltro, è profondamente legata alla letteratura - così racconta ad “Art e Dossier” Nina Colantoni (Milano, 1976), fondatrice della Galleria Nina Due di Milano, specializzata in arte russa contemporanea - a partire dall’ormai leggendario Oleg Kulik (Kiev, 1961), noto per le scandalose esibizioni da uomo-cane che hanno aperto la strada alle pratiche performative nella Russia degli anni Novanta, subito dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il suo farsi animale rivelava ineludibili radici letterarie popolari. Colantoni ha aperto la sua galleria dopo un lungo soggiorno di studio in Russia, affascinata dalla velocità di cambiamento di questo paese, dal fermento che incessantemente apre, chiude e riapre le porte di gallerie, musei, associazioni. Tra gli artisti presentati in Italia dalla gallerista, alcuni protagonisti della scena internazionale come Alexander Brodsky (Mosca, 1955) o Alexander Ponomarev (Kiev, 1957), entrambi legati all’immaginario magico e misterico del sottosuolo russo. Tra il poetico e il terrorifico, Brodsky incanta con i suoi materiali poveri dalla forte componente architettonica, con i suoi piccoli gesti, i suoi riferimenti minimali al mondo più intimo e riflessivo; mentre Ponomarev, ex marinaio, stupisce con le sue installazioni da “scienziato pazzo” - racconta sorridendo Colantoni che proprio con una sua personale ha aperto la galleria nel 2005. Con il mare che torna in ogni suo lavoro, Ponomarev ha dedicato una delle sue più eclatanti performance-installazioni alla “riabilitazione” dell’immagine del sottomarino, noto per colpire “a tradimento” il nemico grazie alla sua invisibilità. In che modo? Un vero sottomarino ma ridipinto con colori sgargianti, pronto per immersioni “manifeste”! Sempre alla Galleria Nina Due si segnala anche la periodica rassegna di giovani videoartisti russi, organizzata in collaborazione con Antonio Geusa, italiano (Galatina, 1971) residente a Mosca, premiato dallo stesso Stato russo come miglior critico dell’anno nel 2011, specialista di videoarte e curatore di un evento collaterale alla Biennale di Venezia del 2013. Tra i giovani artisti emergenti esposti anche Polina Kanis (San Pietroburgo, 1985) e Roman Mokrov (Elektrougli, 1986), il quale, con foto e video, ha documentato un viaggio in materassino gonfiabile attraverso le periferie: dove un tempo c’era un canale di comunicazione tra Mosca e la sua città natale, ora c’è una palude; Mokrov attesta la doppia faccia di questo degrado, stretto tra squallore e aspra poesia. Tra gli artisti di fama internazionale si ricordano i coniugi Ilya (Dnipropetrovs’k, 1933) ed Emilia Kabakov (Dnipropetrovs’k, 1945). Entrato nel 2000 nella classifica dei dieci artisti viventi più importanti a livello internazionale, Ilya Kabakov è considerato il padre del concettualismo russo: all’inizio degli anni Novanta ritrova negli Stati Uniti Emilia, una lontana cugina curatrice e gallerista, e la sposa; da allora firmeranno a quattro mani una lunga produzione di opere installative, fascinose e multiformi narrazioni dal carattere sociale e utopico.


Blue Noses, Kissing Policemen (An Epoch of Clemency) (2004);

Sergey Bratkov, Mickey Mouse dalla serie Juvenile Detention (2001).

David Ter-Oganyan, Assassination of the President (2003);