Studi e riscoperte. 2
L'illuminismo e la scultura

grazia,
ragione e sentimento

Nella comunità illuminista francese, tra Sette e Ottocento, popolata di letterati, saggisti, filosofi e artisti, prende forma, particolarmente nella scultura, un’idea di bellezza ed eleganza strettamente legata alle virtù intellettive, al gusto, alla nobiltà d’animo.

Marilena Mosco

ènella scultura del Settecento francese risalente al periodo compreso fra la metà del secolo e i primi dell’Ottocento, vale a dire dall’epoca di Madame de Pompadour e di Maria Antonietta fino a Napoleone, che si rivela quella strana compresenza del “grazioso” e dell’“aulico”, della “frivolezza” e della “serietà” connaturata al gusto tipicamente francese delle contraddizioni, delle sottigliezze e delle “nuances”. È il periodo nel quale vengono elaborate diverse teorie sul significato del Bello. Per Diderot, che scrisse un Traité du Beau (1772), la bellezza va percepita non solo con la ragione ma con il sentimento; bello è ciò che è grande, nobile, armonico, grazioso, fine, delicato e piacevole. Sull’onda della filosofia sensista di Condillac e del pensiero di Hume, il pittore inglese William Hogarth nel suo The Analysis of Beauty (1753) scrive che la linea serpentinata ha il potere di aggiungere grazia alla bellezza e questo spiega la fortuna che il modellato mosso e variegato, e lo studio del panneggio fluente intorno al corpo, ebbero nella scultura settecentesca di impronta naturalistica. Il ritorno all’armonia delle proporzioni nell’arte greca fu invece teorizzato da Winckelmann, mentre Canova nei suoi Pensieri sulle arti esalta la giusta misura tra nobiltà e grazia, seguito da Leopoldo Cicognara, che considera la grazia «ornamento delle cose austere» e osserva che «non c’è bellezza senza grazia e la grazia va misurata con intelligenza». Di qui l’assioma - la «grazia dell’intelligenza» - scelto da Francesco Negri Arnoldi come linea guida per il suo libro Arte dell’illuminismo nelle sculture da studio e da salotto (2013) che fa seguito alla mostra parigina del 2003 L’esprit créateur: de Pigalle à Canova. Terres cuites européennes 1740-1840. Mentre acquista fortuna la terracotta, al genere bucolico pastorale dominante nel gusto rococò si sovrappone il genere mitologico con la riscoperta delle favole antiche che nelle sculture di Clodion (1738-1814) si caricano di un sottile erotismo: famose le sue baccanti e i suoi satiri che rivelano l’influenza della scultura ellenistica studiata nel soggiorno romano. Alla Venere e amorini con Leda e il cigno (Louvre) si affianca la Giovane egiziana (ancora al Louvre) elegantemente drappeggiata e rappresentativa, all’epoca (1780), di quell’interesse per l’esotico che sarebbe sfociato nell’egittomania dopo la campagna napoleonica.
Il genere del ritratto, già in voga nel Seicento, ora assume l’aspetto monumentale nelle sculture dei Grands Maîtres (le personalità della cultura francese destinate a decorare la Grande Galerie del Louvre) mentre diventa occasione di approfondimento psicologico nelle “petites sculptures de cabinet” richieste dalla borghesia illuminata desiderosa di celebrità. Tra le opere dei Grands Maîtres spicca per la sua eleganza la statua di La Fontaine (al Louvre) che Pierre Julien (1731-1804) eseguì nel 1785: la figura, abbigliata secondo il costume dell’epoca, colpisce per la cura del modellato e del panneggio e i suggestivi dettagli degli animali preferiti, come la volpe ai piedi del favolista. A Pierre Julien - noto per la scultura di Amaltea con la capra di Giove, eseguita per la latteria ideata da Maria Antonietta per il castello di Rambouillet - si affianca un altro scultore dal tratto elegante: Augustin Pajou (1730-1809), pensionato a villa Medici e membro dell’Académie Royale. Suo è il busto della contessa Du Barry (Louvre), ultima favorita di Luigi XV che dopo la morte del re, nel 1774, cadde in disgrazia e fu uccisa durante la Rivoluzione, da lui ritratta nello splendore delle forme, con l’abito che non nasconde il seno florido, e i boccoli squisitamente disposti sulle spalle. Un’eleganza non priva di ambiguità rivela La Frileuse (La freddolosa, Montpellier, Musée Fabre) che Jean-Antoine Houdon (1741-1828) realizzò sia in marmo che in terracotta; la scultura, presentata al Salon del 1785, venne rifiutata dalla giuria perché sfidava le norme della decenza in quanto «drappeggiata con falsa modestia», ritenendo proprio la seminudità l’elemento erotico scatenante il voyeurismo del pubblico.


Joseph Chinard, Madame Récamier (1801), versione in marmo, Lione, Musée des Beaux-Arts.

Clodion, Venere e amorini con Leda e il cigno (1782), Parigi, Musée du Louvre.