Grandi mostre. 2 
Armi e armature islamiche a Firenze

arte
da guerra

Una vasta area compresa fra Nord Africa, Turchia, Balcani, Persia, Penisola arabica, fino all’India, è stata influenzata per secoli da culture diverse fra loro ma tutte riunibili sotto l’egida islamica. Tra le molte manifestazioni del gusto e della tecnica di quelle culture hanno un posto di rilievo armi e armature, magnificamente esemplificate nella collezione fiorentina di Frederick Stibbert.
Ce ne parla qui il direttore del museo che la ospita.

Enrico Colle

la sezione islamica del museo Stibbert, assieme a quella giapponese, rappresenta una delle più rare collezioni di armi e armature esistenti in Europa per completezza e preziosità di opere conservate. Numerose culture di radice islamica sono qui infatti rappresentate con manufatti di grande bellezza e unici per la tecnologia utilizzata nella lavorazione dei metalli, resi ancor più raffinati dall’inserimento di materiali preziosi.
La sensibilità artistica degli artigiani mediorientali ha generato, nelle elaborate armature prodotte in aree quali la mamelucca, la turcomanna, la persiana, l’indiana e la caucasica, soluzioni decorative di grande raffinatezza per l’ampio uso delle agemine in oro e argento poste a evidenziare gli originali motivi ornamentali che decorano elmi, scudi e spade di ogni tipo acquistati da Frederick Stibbert - il collezionista anglofiorentino che ha dato avvio alla raccolta - proprio all’indomani della messa in vendita delle armerie storiche di quei paesi e in particolare quella di Sant’Irene di Istanbul.
La mostra allestita nelle sale del museo è stata dunque concepita con l’intento di esibire un cospicuo numero di armature eseguite a partire dalla fine del XV secolo fino agli inizi dell’Ottocento che, di solito, non è possibile ammirare in tutta la loro compiutezza nello scenografico allestimento delle sale islamiche del museo ideato da Stibbert stesso. Si tratta di opere di altissima qualità realizzate da rinomati maestri armaioli che crearono svariati tipi di armature espressamente concepite per meglio difendere i guerrieri sui campi di battaglia, insieme ad altri esemplari destinati a essere indossati durante le parate e che adesso, grazie ai contributi critici di Francesco Civita, curatore della mostra, Cristina Tonghini, Michele Bernardini e Sara Mondini, siamo in grado di analizzare ancor più a fondo di quanto si potesse fino a ora.
Seguendo l’itinerario della mostra si può notare come con i sultani mamelucchi la centenaria tradizione dell’arte della guerra nel mondo islamico raggiunse indubbiamente l’apice del suo sviluppo. Un discreto numero di armi e armature di questo periodo si è conservato fino a noi insieme alle descrizioni e alle raffigurazioni presenti nei trattati di “furusiyya” (ovvero di cavalleria), veri e propri manuali per l’allenamento fisico, lo sviluppo di destrezza, la padronanza nell’uso delle armi e l’addestramento dei cavalli. Nelle città si tenevano allenamenti e gare di combattimento, in spazi pubblici opportunamente allestiti, che richiamavano un vasto ed entusiastico pubblico e contribuivano a consolidare l’immagine di valenti guerrieri coltivata dai mamelucchi. Questi ultimi, in origine schiavi addestrati nell’arte della guerra, diffusi un po’ in tutto il mondo islamico, conseguirono il culmine delle loro conquiste tra il 1250 e il 1517 quando da corpo elitario dell’esercito alle dipendenze del sultano riuscirono a impadronirsi del potere arrivando a scacciare i crociati dalla Terrasanta e, allo stesso tempo, a contenere l’avanzata dei mongoli estendendo così i territori conquistati dal Mediterraneo orientale fino all’Egitto e all’intero Nord Africa. Per circa due secoli e mezzo i mamelucchi, che avevano scelto come capitale del regno il Cairo, favorirono i commerci e l’arte contribuendo così alla creazione di splendidi manufatti, anche nel campo delle armi, le cui forme furono successivamente riprese dagli ottomani che li sconfissero agli inizi del XVI secolo proprio alle porte del Cairo.
I turchi infatti raggiunsero il massimo della potenza e della loro espansione territoriale sotto la dinastia ottomana che dal 1258 fino al 1922 rimase al potere: Mehmet II dal 1451 al 1481 pose le basi per la futura grandezza dell’impero conquistando Bisanzio nel 1453, ponendo così fine all’impero romano d’Oriente. Tale espansione territoriale fu continuata da Solimano il Magnifico che nell’arco di due decenni circa si impadronì di gran parte del bacino mediterraneo e dell’Europa centrale, fino ad arrivare per ben due volte ad assediare Vienna. Più a sud egli estese il suo impero in Iraq e in parte della Persia, mentre a est sconfisse le popolazioni del Caucaso, dell’Azerbaijan, del Luristan e dell’Armenia.
La struttura delle armature turche presenti in mostra è la stessa di quelle usate in battaglia nel periodo in cui regnarono Mehmet II e Solimano il Magnifico. Formata di piastre d’acciaio e di maglie di ferro, tale armatura garantiva un’ottima protezione a colui che l’indossava senza limitarne i movimenti. Queste corazze erano indossate principalmente dai giannizzeri, un corpo altamente addestrato nell’arte della guerra e formato da giovani, spesso rapiti in tenera età durante le invasioni e le razzie operate dalle bande turche nel Mediterraneo, e poi cresciuti all’interno di strutture militari dove venivano esercitati fino a farli divenire dei terribili combattenti alle dirette dipendenze del sultano.

L’interesse per il Medio Oriente si sviluppò durante la seconda metà dell’Ottocento in Francia, Inghilterra e in Italia




Corazza (“korazin”) in piastre di acciaio e maglie di ferro, (Egitto/Siria, 1490-1510); tutte le opere che presentiamo si trovano al Museo Stibbert di Firenze.

La Cavalcata islamica.

Il Sultano turco riceve nella sala del trono, da Costumes of the time of Charles V […] of all nations of the world (1540 circa), biblioteca del museo;