per gli antichi romani, il Tirreno era davvero il mare “lorum”: serviva ad approvvigionare l’Urbe; ne ospitava la
flotta, che le è stata fondamentale; era anche la sede ideale dei loro “otia”, cioè di tutto quanto fosse estraneo agli impegni politici, militari,
oppure religiosi. Le sue coste, e le isole, sono tutte cosparse delle loro ville. Se, almeno tradizionalmente, Catullo amava soggiornare sul lago,
su quello di Garda, a Sirmione, numerosi imperatori, senatori e aristocratici hanno edificato il proprio “buen retiro” sul mare che era anche quello
di Roma. Se ne vedono ancora tracce abbondanti: dalla cosiddetta villa di Pompeo non lontana dal castello Odescalchi, a Palo Laziale (le strutture
più antiche sono del I secolo a.C.; è in uso per l’intero periodo imperiale e, con i suoi materiali e il cemento, nasce, alla vigilia della seconda
guerra mondiale, una torretta d’avvistamento), fino alla penisola sorrentina. Se nella remota Ventotene fu mandata in esilio Giulia, figlia di
Augusto, madre di due eredi dell’imperatore, Lucio e Gaio, e moglie di un terzo, Tiberio (si vedono le rovine di una villa imperiale; sull’isola non
erano ammessi uomini: vi trascorse cinque anni, per finire poi, secondo alcuni, a Reggio Calabria, nell’ormai demolita torre chiamata con il suo
nome), lo stesso Tiberio si fece costruire ben dodici ville a Capri; e almeno la Jovis, la Damecuta e il Palazzo a mare sono ancora leggibili.
Un po’ tutte le isole tirreniche erano cosparse di dimore, di solito bipartite: una sezione più rustica per gli schiavi e i magazzini, e una
più “urbana” per il proprietario e i suoi. Una sontuosa villa romana della famiglia dei Domizi Enobarbi, del II secolo d.C., è a Giannutri; i ruderi
di un’altra, a Pianosa; Valerio Messalla possedeva quella “alle Grotte” sull’isola d’Elba, e anche quella rustica scoperta nel 2012 nella piana di
San Giovanni, che le è sopra e le era collegata. Recentemente, un subacqueo di Capri ha rinvenuto, e segnalato alla Soprintendenza, tre pezzi di
conglomerato con tessere di mosaico, e un marmo affiorante dalla sabbia, su un fondale di neppure dieci metri: forse materiali caduti di villa
Jovis, forse di un’altra costruzione. A mezz’ora da Napoli, ormai quasi del tutto sommersa, è Baia, per qualcuno «la piccola Atlantide dell’antica
Roma», nata sotto l’imperatore Claudio: Seneca la chiamava «il villaggio del vizio» e Ovidio «luogo appropriato per fare l’amore»; famosi i mosaici,
i bagni, le sorgenti termali, le magnifiche sculture che la qualificano come sito da “upper class”; è sprofondata per un bradisismo.
Al
sorgere dell’impero, Roma era la maggiore città del mondo: più vasta di Pergamo, nell’Asia Minore; più di Antiochia, nella provincia di Siria; più
di Alessandria di Egitto; le ville, in campagna o sul mare, erano i luoghi in cui i signori si ritempravano. «Non mi agitano né speranze, né timori,
non mi turba alcuno strepito. Parlo solo con me e con i miei libri. Oh vita innocente e schietta; raro e onorato ozio, più bello quasi di qualsiasi
negozio. Oh mare, lido vero, e segreto tempio delle Muse», scriveva Plinio il Giovane(1). Come chiudeva il senato, nel I secolo a.C. da
aprile a metà maggio, gli “otia” in Campania erano un obbligo per molti. Strabone, geografo del tempo di Augusto, dice che l’intero golfo di Napoli
era «arricchito lungo la sua estensione sia dalle città […], sia, negli spazi intermedi, da residenze e piantagioni le une vicine alle altre, che
offrono nell’insieme l’aspetto di un solo abitato»(2); tra i tanti, ci passò gli ultimi anni della sua vita Scipione l’Africano, a
Liternum; e ci vissero anche Cornelia, la madre dei Gracchi (a Miseno), Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla (più verso Cuma), Lucullo (a Napoli e a
Nisida), Cicerone, Cesare e Pompeo. Le coste campane, protette anche dalla flotta di stanza a Miseno, erano una seconda Roma: quella del lusso e dei
piaceri. Maiori, Positano, Vietri, per citare solo alcune località, conservano ancora gli echi di quell’antica ricchezza.

