nel 36 a.C. la rivoluzione istituzionale di Roma - da cui avrà origine il principato augusteo - era un progetto
politico appena abbozzato e dai contorni molto vaghi. Il pronipote e figlio adottivo di Cesare aveva da poco assunto il nome di Caio Cesare ed era
ancora un giovane aristocratico dalle molte ambizioni, ma il cui cammino si presentava irto di ostacoli. I suoi primi ritratti ufficiali, eseguiti
in quegli anni, mostrano un volto magro, emaciato e uno sguardo leggermente obliquo, simile a quello dei sovrani ellenistici, ma pervaso da
un’inquietudine quasi febbricitante: nulla di più lontano dall’immagine autorevole e austera tramandata dalla sua raffigurazione più nota, quella
della statua di Prima Porta (27 a.C.), ispirata al celebre Doriforo di Policleto. Fu in questo clima politico incerto, impregnato dalle
tensioni della morente Repubblica romana, che Ottaviano - nome di comodo dato dai moderni per distinguerlo dal padre adottivo - decise di ampliare
la sua casa romana sul Palatino, situata a poca distanza dal tempio della Magna Mater - il cui simulacro era stato trasferito a Roma da un santuario
situato vicino alle rovine di Troia - e dai resti della capanna attribuita al fondatore della città, la “Casa Romuli” che, per antica consuetudine,
veniva periodicamente ricostruita nel luogo del primitivo villaggio abitato dai fuggiaschi di Alba Longa.
La casa, che Ottaviano aveva
acquistato nel 43-42 a.C. da Quinto Ortensio Ortalo, figlio del celebre oratore vissuto agli inizi I secolo a.C., appariva evidentemente ormai
troppo modesta per il vincitore di Sesto Pompeo, il comandante della flotta corsara che aveva dominato il mare di Sicilia e controllato per lungo
tempo le sue preziose rotte commerciali nel tentativo di vendicare in nome della pietà filiale - proprio come Ottaviano - il destino del padre,
Pompeo Magno, ucciso a tradimento nel 48 a.C. Nel 36, dunque, Ottaviano ordinò di comprare una serie di case («complures domus»), al fine di
ampliare la sua prima dimora palatina.
Il risultato di questo grande progetto immobiliare è noto archeologicamente come Casa di Augusto e Casa di Livia, quest’ultima separata
fisicamente dal nucleo principale da una stretta strada; ma, come hanno dimostrato recenti studi, nella sontuosa parte dell’abitazione messa in
luce dagli scavi eseguiti negli anni Sessanta del Novecento Augusto non abitò mai: si tratta, infatti, di un lavoro che venne bruscamente
interrotto poco dopo, forse già nel 34, ma il cui stato di incompiutezza ci permette di conoscere le scelte e i ripensamenti di Ottaviano, il
quale improvvisamente decise di trasformare la sua casa da raffinata dimora in residenza di uomini e dèi. Il motivo di tale interruzione è noto:
al momento dell’inizio dei lavori, forse per adempiere a un voto, Ottaviano aveva promesso di destinare una parte della sua casa al culto di
Apollo, ma poi, inspiegabilmente, non lo aveva sciolto, concentrandosi esclusivamente sulla costruzione dell’abitazione. Il dio aveva allora
inviato un segno inequivocabile della sua contrarietà, facendo colpire da un fulmine il cantiere: spaventato da un prodigio che esigeva un preciso
rituale di espiazione (il “fulgur conditum”), Ottavio decise di interrompere i lavori e di stravolgere totalmente il progetto iniziale, facendo
del tempio di Apollo il fulcro della nuova residenza.
Un ampio settore della casa fu così sacrificato, in particolare quello situato a un
livello inferiore rispetto alla quota più elevata del Palatino, ove si doveva aprire l’ingresso ufficiale alla dimora; ciò che oggi vediamo, dopo
la rimozione di un profondo interro artificiale, è solo la zona intima e residenziale della casa di Ottaviano, organizzata intorno a un
peristilio. Rispetto alla canonica architettura della casa romana ad atrio, nota soprattutto dalla documentazione pompeiana, la presenza di
numerose stanze residenziali ai piani inferiori appare un’originalità; in realtà, come documenta anche la struttura della più antica Casa dei
Grifi, questa era una norma delle case aristocratiche del Palatino, che, per la loro densità, dovevano sfruttare ogni singolo metro disponibile,
ricorrendo ad ardite soluzioni architettoniche rese possibili dall’affidabilità ormai assicurata dall’opera cementizia, la cui qualità fu elogiata
proprio in quegli anni dall’architetto di corte Vitruvio.
Il settore finora scoperto occupa gran parte del lato ovest e sembra essere stato
il nucleo originario dell’intera struttura, ossia la casa acquistata da Ortensio; questo nucleo doveva avere un contatto diretto con la zona
superiore attraverso grandi rampe e una qualche comunicazione con un’altra area residenziale situata sul lato opposto orientale attraverso alcuni
corridoi sotterranei.
Gli scavi hanno messo in luce una serie di stanze affrescate nello stile pittorico dell’epoca, classificato dagli studi
moderni come II Stile. La sua caratteristica sostanziale era la riproduzione in pittura di architetture e scorci paesaggistici che, col tempo, da
realistici divennero sempre più arditi, giungendo infine a inserire al centro della parete grandi edicole destinate a ospitare, come nel
cosiddetto tablino della Casa di Livia, quadri raffiguranti episodi mitologici ispirati alla grande pittura greca del V e IV secolo a.C. Nella
Casa di Ottaviano è possibile seguire quasi passo passo le ultime fasi di questo tipo di decorazione parietale. Negli ambienti situati lungo il
lato nord la pittura è molto semplice, con le pareti di colore omogeneo scandite da edicole e pilastri, dietro cui si stagliano vedute di edifici
monumentali; in ognuna di queste stanze la parte mediana delle pareti è occupata da elementi ornamentali differenti: ghirlande di pino, maschere
tragiche, architetture delimitate da finte colonne. Questa complessiva essenzialità decorativa, comune anche a molte case pompeiane della metà del
I secolo a.C., fa ritenere che le pitture appartengano ancora all’originaria Casa di Ortensio; un diverso modo di concepire la parete dipinta si
nota invece nella serie di stanze situate lungo il settore orientale. In questo caso si nota una molteplicità di riproduzioni architettoniche,
talvolta isolate e sospese nella parte superiore, talaltra usate come quinte ideali per raffigurazioni simboliche: in un caso due donne, forse
sacerdotesse, sono raffigurate dinanzi a una casa a più piani, come era la dimora stessa di Ottaviano. Si tratta, molto probabilmente, delle
stanze ridipinte dopo l’acquisto della Casa di Ortensio e dunque databili intorno agli anni Quaranta del I secolo a.C. La stanza più ricercata
finora messa in luce presenta una pianta piuttosto inusuale e documenta meglio di ogni altra l’abbandono del progetto originario: si tratta di un
raffinatissimo salone tetrastilo, nel quale quattro colonne delimitavano lo spazio centrale interno destinato ai commensali. In un primo tempo,
come nella coeva Casa delle Nozze d’argento di Pompei, questo si apriva sul peristilio, godendone la vista; la lussuosità dell’impianto è
percepibile nella decorazione delle pareti, animate da sontuose edicole colonnate, negli stucchi che proteggevano la volta della parte centrale,
nei pavimenti a piastrelle di marmo. Nel progetto successivo al 36 a.C., che, come detto, prevedeva l’unione di più case in origine separate, si
pensò di ruotare l’ingresso della stanza, che doveva allora aprirsi su uno spazio interno; una parete venne tagliata per creare una grande porta,
si smontarono le colonne e anche il pavimento venne spogliato per recuperare le preziose piastrelle di marmo. Contemporaneamente si iniziò a
costruire un grande portico affacciato sulla valle del Circo Massimo, che doveva essere ornato da splendide lastre di terracotta raffiguranti
scene di carattere sacro e la contesa del tripode delfico da parte di Apollo ed Eracle. Tutti questi lavori subirono la brusca interruzione
causata dal prodigio della caduta del fulmine: la porta, già aperta, venne chiusa con un muro, così come le aperture verso il portico, dove furono
utilizzate anche le lastre di terra cotta appena commissionate che, per questo motivo, hanno conservato pressoché intatto il loro originario
colore. Tutti gli ambienti, compresi un piccolo ninfeo e la grande rampa di collegamento con la parte superiore della casa, furono coperti da
un’enorme gettata di terreno di riporto.
Ciò che occupò il posto delle “complures domus” è archeologicamente poco noto a causa delle
distruzioni e dei saccheggi avvenuti in antico, anche se molteplici - e spesso discutibili - sono stati i tentativi di ricostruzione. Di certo, il
ruolo più importante fu allora attribuito al tempio di Apollo, dove Augusto talvolta riceveva personalità e riuniva il Senato, al quale si
collegavano un portico, detto delle Danaidi per le statue che lo adornavano, e due peristili su cui si aprivano altrettante biblioteche
accessibili anche al pubblico. Ma da quel momento la residenza del principe non fu più solo una casa, ma il primo tentativo, riuscito, di creare
nel cuore di Roma un vero palazzo.





