Una forte componente simbolica, racchiusa in forme di vigorosa carnalità: così appare la
Fruttivendola di Vincenzo Campi. La giovane e avvenente venditrice offre, con gesto altamente erotico, un grappolo di uva nera, mentre -
sopra il grembiule azzurro-verde dal bordo ricamato, che copre le gambe aperte a formare quasi una conca -, sostiene delle mele, o pesche,
impegnata, con la sinistra, a impedire che cadano. Indossa un abito giallo dal corsetto scollato, bordato di blu e decorato con nastri rossi e una
camicia candida che si apre sui seni prosperosi (che appaiono, in mezzo a tanta frutta, come due ulteriori prodotti dell’abbondanza giunti a
maturazione): un abbigliamento elegante, cui si accompagna un’accurata pettinatura, certamente poco appropriato per una venditrice di campagna. La
circonda un tripudio di frutti e verdure: la copiosità dei prodotti della terra fa da subliminale contrappunto alla prosperosità della donna. Sul
terreno sono appoggiati carciofi e asparagi, piselli e un cavolo, mentre ciotole di ceramica accolgono ciliegie di tre varietà e due cesti sono
riservati alle pere: in uno rivestito di foglie è riunita una qualità più variegata, mentre le altre sono forse delle cosiddette “volpine”, piccole
e con un grande picciolo. Uva bianca e nera dai grossi chicchi è contenuta in un basso mastello per mosto i cui manici sono ricavati dal
prolungamento di due delle doghe, munite di fori per permetterne il trasporto con l’inserimento di un bastone. Due piatti di metallo sono riservati
a susine e albicocche, appoggiate, queste ultime, sopra una grande zucca arancione; tre cesti di forme diverse sono assegnati il primo a fave
(baccelli in Toscana) ornate con rose, il secondo a nocciole ancora rivestite dell’involucro e a mandorle, e l’ultimo a zucche verdi e bitorzolute,
alcune aperte a mostrare la polpa arancione e i semi. Sopra una sporta è appoggiato un piatto di ceramica bianca con delle more, e su un vassoio
sono accuratamente disposti dei fichi neri, mentre ai fichi dottati, cui la maturazione ha conferito un tono giallastro, è destinato un tagliere
rotondo in legno. In una cassetta sul fondo sono riunite pere e zucchine col fiore.
Mancano mais, pomodori e patate, il cui uso si diffonderà
molto tempo dopo la scoperta del Nuovo Mondo: il granoturco, da cui si ottiene la polenta di farina gialla, verrà introdotto nell’alimentazione dal
1630 a Venezia, mentre i pomodori saranno utilizzati nel Nord Italia a Seicento inoltrato e le patate valorizzate a opera del farmacista e agronomo
francese Antoine Augustin Parmentier nell’Età dei lumi.
La Fruttivendola è stata commissionata - al pari delle altre tele
raffiguranti la Pescivendola, la Pollivendola e la Cucina, che vanno a costituire una serie - dal banchiere Hans Fugger per il
castello bavarese di Kirchheim. Vincenzo Campi, membro di una famiglia di pittori cremonesi, ha introdotto l’uso di simili raffigurazioni con
venditori che, seduti da soli in paesaggi agresti, offrono una molteplicità di prodotti. Le scene di mercato sono un’invenzione fiamminga, ma in
quel contesto i commercianti appaiono inseriti in un’affollata cornice cittadina e sul fondo si svolgono episodi evangelici. Campi conserva la
scansione in due parti, ma sostituisce la scena sacra con la raffigurazione di come vengono procurati i generi alimentari smerciati in primo piano:
nella Fruttivendola, a sinistra un giovane si è arrampicato su una scala appoggiata a un albero e sta cogliendo dei frutti, mentre una
donna, ai piedi della pianta, li sistema in un grande e basso cesto.
Per il dipinto - che appartiene alla fase più matura dell’artista, morto
cinquantacinquenne nel 1591 - Campi si è ispirato alle opere di Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer, conosciute in virtù dei contatti stabiliti a
Cremona, la cosiddetta “piccola Anversa”, con i Paesi Bassi dalla famiglia dei banchieri Affaitati. Grazie a Vincenzo si sono diffuse nell’Italia
del Nord e nel mondo tedesco simili rielaborazioni di pitture fiamminghe: scene di genere in cui sulla figura umana quasi primeggia una natura morta
(frutta, verdura, prodotti ittici o pollame) che assume un proprio valore autonomo. La descrizione della sontuosa esposizione e dei diversi
contenitori, su cui l’artista si sofferma con meticolosa minuzia, attesta l’attenzione tutta nordica e lombarda per il dato reale, una sensibilità
che ispirerà il giovane Caravaggio, mentre il paesaggio con le figurette appena riconoscibili rappresenta l’immediato precedente della pittura di
Annibale Carracci.
I prodotti raffigurati nella Fruttivendola maturano in periodi differenti dell’anno, e suggeriscono qui un
superamento, ideale e vagheggiato, dell’alternarsi della produzione agricola: una sorta di eden in cui sono valicate le limitazioni imposte dalla
stagionalità e in cui vengono offerti copiosamente frutti e verdure prodotti da una natura che non rispetta le sue stesse leggi. Un tempo, sogno
idealizzato e simbolico di ricchezza e di una “età felice”, oggi realtà di qualunque supermercato.

