Georges de La Tour (1593-1652) non è un artista “etichettabile”, ha una personalità complessa e un occhio acutissimo capace di analisi penetranti e
sintesi spietate, è un esperto nel mettere in scena, senza cadere mai nella trappola della teatralità, i temi universali dell’esistenza umana e i suoi
paradossi; la povertà e la ricchezza, l’ingenuità e la furbizia, la nascita e la morte. Quando, fra il 1915 e il 1934, la storia dell’arte lo
scopre(1) ogni sforzo iniziale appare teso a restituirgli le opere che, in secoli di oblio, erano state attribuite ad altri.
Si va via via componendo un corpus di una quarantina di dipinti, forse un decimo della sua produzione totale, considerati i trentacinque anni di
carriera. Inizialmente l’opera dell’artista viene divisa in due: il gruppo dei dipinti in chiaro e quello dei notturni, ascritti a due successivi
momenti cronologici. Le opere in chiaro, ricche di particolari seducenti, vengono riferite agli anni fra il 1618 e il 1634 mentre le altre,
contraddistinte da un peculiare uso della luce artificiale e da una crescente tendenza alla stilizzazione, sarebbero state invece il frutto della
maturità artistica (1635-1652) e il possibile riflesso di una personale evoluzione verso un misticismo scarno e rigoroso(2).
Questa distinzione appare oggi superata laddove l’inestricabile intreccio delle opere diurne con quelle notturne presenta un tratto di unità
spirituale nella centralità dell’essere umano(3).