street art,
l'arte della strada 2.0

Le seminali ricerche di Francesca Alinovi non ebbero immediata ricezione sul versante artistico italiano.

si dovettero attendere gli anni Novanta perché il writing metropolitano si diffondesse pienamente, e in maniera matura, anche in Italia. Ma nel frattempo le cose erano cambiate e questa nuova strada aperta portò presto a un bivio: da una parte il mondo del writing e dei graffiti, quello che abbiamo imparato a conoscere in queste pagine, con il suo linguaggio, le sue “crews”, i suoi luoghi e la sua indomita ricerca stilistica; dall’altra, oltre il muro, un movimento nuovo, in parte connesso al writing e ai graffiti, ma per molti altri aspetti sostanzialmente e profondamente diverso: la Street Art, il movimento artistico oggi più capillarmente diffuso al mondo, dalla natura in costante evoluzione e ridefinizione, i cui frutti hanno una vita spesso effimera, precaria, evanescente, sebbene non manchino opere più durevoli, talvolta frutto di commissioni pubbliche. Rispetto al writing, nella Street Art mutano i riferimenti culturali. Mutano le tecniche. Muta lo stile. Il rapporto tra legale e illegale. Le dimensioni. Il concetto di unicità dell’opera. La percezione da parte dell’arte ufficiale e, in molti casi, anche da parte del passante, che non considera più l’intervento su muro solo un atto vandalico a prescindere. Oltre alla cultura dei writers, alla nascita della Street Art contribuirono anche altre culture marginali, da quella degli skaters alle pratiche neo-situazioniste del “subvertising” e dei “culture jammers”, ovvero di gruppi come quello legato alla rivista canadese “Adbusters” che, anche tramite interventi urbani, pratica una gioiosa guerriglia contro lo strapotere iconografico delle multinazionali. E ancora hanno peso l’universo segnico dei tatuaggi, i centri sociali occupati, il cyberpunk, i rave, la cultura hip-hop, la stampa marginale delle fanzines e del fumetto underground… tutte quelle pratiche dell’immaginario “off” che Carlo Branzaglia ha definito «iconografie del marginale».


Shepard Fairey, stencil, Milano (2005).