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In questo famosissimo brano della sua Vita, Benvenuto Cellini, orafo del Rinascimento, racconta la fusione in bronzo della sua seconda opera di grandi dimensioni (dopo la Ninfa di Fontainebleau realizzata in Francia per Francesco I): il Perseo commissionato a Firenze da Cosimo I, che, dopo una lunga e non sempre agevole lavorazione iniziata nel 1545, fu collocato nel 1554 nella loggia dei Lanzi. L’episodio narrato risale al 1549: anche se certamente i momenti della lavorazione non erano sempre così drammatici (bisogna anche tener conto che lo “sbigottimento” dello scultore era forse causato almeno in parte dalla sua maggiore dimestichezza con opere in oro di dimensioni più piccole), si tratta della vivacissima testimonianza di una tecnica inventata nel mondo antico e restata in uso per secoli senza sostanziali variazioni. È la tecnica della “cera persa”, che può essere realizzata con procedura “diretta” e con procedura “indiretta”. Vediamo la diretta: ciò che dà l’anima a una scultura è una “forma” realizzata in terra magra e refrattaria (con all’interno un’armatura di legno) su cui si spalma cera, che viene plasmata nei minimi dettagli, e che viene a sua volta chiusa entro un “mantello” di copertura pure in terra. All’interno del mantello vengono disposti canali e tubi di scarico. Si cuoce il tutto: la forma e il mantello si consolidano, la cera si scioglie e defluisce. Si cola attraverso i canali il bronzo fuso (è questa soprattutto la fase descritta da Cellini), che riempie dall’alto verso il basso il vuoto lasciato dalla cera defluita, di cui riproduce con esattezza i dettagli rimasti impressi nel mantello; i tubi di scarico assicurano la fuoriuscita dei vapori. Il mantello, a raffreddamento avvenuto, si smonta; i canali, anch’essi divenuti bronzo, si segano accuratamente; la statua è pronta, e sarà rifinita a freddo.
Con la procedura indiretta, dalla forma si ricavano calchi (è anche possibile la lavorazione a parti staccate), al cui interno si spalma la cera; poi, all’interno (a sua volta) della cera, con un’armatura in sbarre di ferro, si comprime terra, che può essere non necessariamente magra e refrattaria, ma anche grassa e malleabile. Poi si distaccano i calchi, sostituiti da un nuovo mantello, e anche in questo caso si aggiungono i canali e si procede alla colata. Ma sia la forma iniziale, sia i calchi, rimangono fuori dal processo di fusione, e potrebbero essere riusati, per esempio, in caso di cattiva riuscita del primo tentativo.