un inizio
avventuroso

L’avvio è a dir poco avventuroso. Il 16 agosto 1972 un giovane romano, Stefano Mariottini, si immerge non lontanissimo (trecento metri circa) dalla costa di Riace, in Calabria,

All’altezza del km 130 sulla Strada nazionale ionica, per praticare una delle sue attività ricreative preferite, la pesca subacquea; ma a dieci metri di profondità intravede un braccio di bronzo emergere dalla sabbia, e un minimo di approfondimento dell’indagine gli consente di constatare che quel braccio non è isolato: vi sono addirittura due magnifiche statue. Nella serata di quel giorno per telefono, e il giorno successivo con una regolare denuncia scritta, Mariottini comunica alla Soprintendenza alle antichità della Calabria il rinvenimento delle sculture, l’una adagiata sul dorso, l’altra coricata su un fianco. Il 21 agosto entra in azione il Nucleo sommozzatori dei carabinieri, con l’aiuto di un pallone gonfiato con l’aria delle bombole: in quello stesso giorno viene recuperata quella che sarà poi chiamata Statua B, il 22 quella che sarà nota come Statua A. Le sculture vengono avviate per i primi interventi a Reggio Calabria, al Museo nazionale della Magna Grecia. Le procedure di recupero, sotto vari aspetti, non furono per la verità esemplari: la Statua A per esempio ricadde una volta sul fondo prima di essere messa al sicuro. La situazione di chi lavorò a questa operazione era del resto molto difficile: le attrezzature erano carenti, ma al tempo stesso bisognava agire con molta fretta, perché la notizia dell’avvistamento si era sparsa e si temeva che qualcuno volesse tentare il colpo grosso. Le misure e i rilevamenti furono eseguiti a occhio, la ricerca di eventuali elementi di contesto fu sommaria (si rinvennero solo frammenti di ceramica, non significativi) e presto interrotta. Solo in anni successivi, 1973 (con la partecipazione del grande archeologo subacqueo Nino Lamboglia) e 1981, vennero scoperti pochi ma importanti oggetti: l’imbracciatura dello scudo di una delle due statue, alcuni anelli di vela, un frammento di chiglia. C’era così qualche elemento per dire che i Bronzi erano andati a fondo su una nave naufragata, e non erano stati scaricati (come qualcuno aveva ipotizzato), quasi come se fossero zavorra, da un’imbarcazione in difficoltà che poi però aveva ripreso la sua rotta. La nave veniva presumibilmente dalla Grecia (vedremo le ipotesi sul luogo preciso di provenienza) e trasportava le sculture, acquistate o predate, in Italia. Le due figure, per quanto apparissero sostanzialmente integre, presentavano situazioni abbastanza complesse di corrosione e di incrostazioni: i laboratori del Museo di Reggio fecero del loro meglio, ma nel gennaio 1975, con grande senso di responsabilità, decisero di chiedere aiuto a una struttura meglio attrezzata, quella della Soprintendenza della Toscana presso il Museo archeologico di Firenze, struttura di restauro che era stata costituita dopo l’alluvione del 1966. Ci si trovava di fronte a due capolavori privi di contesto (se si eccettuano i frammenti di chiglia e gli anelli da vela di cui si è detto), e quindi per comprenderli meglio non restava che “spremere” tutte le informazioni possibili dal loro stesso esame. I lavori di pulitura (con strumenti creati appositamente) e di restauro divennero l’occasione per compiere una notevolissima serie di analisi. Si osservò così che la lega di bronzo era stata ottenuta, nelle due statue, con due diverse combinazioni di rame e di stagno; che per molti dettagli erano stati usati l’argento o altri materiali preziosi; che per le braccia del Bronzo B e per il sinistro di A era stata usata addirittura una terza lega, cosa quest’ultima che rivelava restauri effettuati già in antico. Di questi e di altri dettagli parleremo nei capitoli successivi: le due statue, alla fine, furono esposte a fine 1980 a Firenze stessa, in una mostra che doveva essere un’illustrazione, diciamo così, di routine dei lavori effettuati e che fu invece un trionfo di pubblico (quattrocentomila visitatori), ampiamente confermato in occasione della successiva esposizione al Quirinale (trecentomila). A Riace, il fenomeno Bronzi arriva quasi di rimbalzo dopo questi trionfi “in trasferta”: ma in quel microcosmo presto diventano oggetto di un culto che un po’ si sovrappone e si confonde con la venerazione dei protettori della comunità locale, anch’essi due, i santi medici Cosma e Damiano, e anch’essi legati in qualche modo al mare, in quanto, in occasione della loro festa (25-27 settembre), con ampio accorrere di devoti dalle aree vicine, le loro statue vengono portate in processione alla spiaggia e immerse ritualmente. Si diffondono, non solo a Riace, i più disparati tipi di attenzione e di atteggiamento: qualcuno sostiene che portino sfortuna, altri ne fanno una ragione di orgoglio locale e nazionale, altri ancora sfruttano la loro fama producendo souvenir e paccottiglie di vario livello. I Bronzi divengono addirittura protagonisti di episodi di un fumetto porno all’epoca diffuso (e a suo modo piuttosto accurato), Sukia, che insiste sulla loro vigoria sessuale, con la differenza che A è eterosessuale, B omosessuale. 


Foto ricordo sulla spiaggia dopo il recupero del Bronzo B.

Piantina schematica della parte meridionale della Calabria con l’indicazione dei centri antichi e l’ubicazione di Riace Marina.