arte in conflitto 

una decolonizzazione
indesiderata

In lotta da settembre per ottenere maggiore democrazia e autonomia rispetto al governo centrale di Pechino, l’ex colonia britannica
sta diventando la protagonista del mercato contemporaneo asiatico:
Hong Kong

Federica Chezzi

Un ombrello. Giallo, rosso o arcobaleno, come quello creato dall’illustratrice Tania Willis. È il simbolo dei manifestanti di Hong Kong che da settembre contestano Pechino, sfidando le violente cariche della polizia, per rivendicare il diritto a elezioni libere con suffragio universale, in vista dell’appuntamento del 2017 per scegliere il governatore della città. Ed è sicuramente la crisi più profonda vissuta da questa città-stato dal 1997, quando è stata restituita alla madrepatria dalla Gran Bretagna, che l’aveva occupata nel 1841 durante la guerra dell’oppio. Hong Kong costituisce il principale tramite commerciale e finanziario tra la Cina e i paesi capitalisti e il suo porto è tra i primi al mondo per traffico di container. Ha condizioni di vita molto avanzate e con i suoi sette milioni di abitanti per poco più di mille chilometri quadrati di superficie è una delle aree più densamente popolate al mondo. Ma da quando è tornata sotto il dominio cinese, Hong Kong si interroga sulla propria identità, un affascinante e articolato amalgama di Oriente e Occidente. Una complessa mistura, «un’unione tra tè e caffè», la definisce il poeta e scrittore Leung Ping Kwan (1948- 2013), più noto come Ye Si.(1)

Foglie di sguardi
Al di là dell’oceano sguardi reciproci
vedi che sono una lampada rossa
vedo che sei una foglia d’oro dubitando del
vero dubitando dell’illusorio?
Qua per me il giorno è lungo laggiù per te si
accorcia



«A Hong Kong», sostiene Ye Si, «non ci si può permettere il lusso di essere romantici, anche se fortunatamente», continua, «il grande regista hongkonghese Wong Kar-wai a volte ci prova, alla faccia del cinismo imperante»(2). Come molti altri artisti, entrambi hanno contribuito a spogliare Hong Kong dai suoi duraturi cliché: dal kung fu di Bruce Lee ai gangster, dalle mafie locali ai ricchissimi uomini d’affari; luoghi comuni, peraltro, diffusi dalla stessa industria cinematografica hongkonghese, dagli anni Sessanta ai Novanta una delle più attive al mondo.


Tania Willis, Umbrella Revolution (2014);