XX secolo
Fausto Pirandello

l'arcaica magia
della carne

Nel corso della sua intera vicenda artistica Fausto Pirandello realizza una lunga serie di nudi di donna. Tornano ad affacciarsi con assiduità, nel corso dei decenni, corpi “antichi” e quotidiani insieme, dolenti e tormentati, lontani da ogni grazia e seduzione.

Fabrizio D'Amico

alla Galleria di Milano, all’epoca una delle principali del capoluogo lombardo, in una delle prime personali italiane che seguirono, nel 1933, il suo esordio parigino del 1929, fra gli oltre trenta dipinti in mostra Fausto Pirandello ne espose uno, che intitolò La pioggia d’oro (ora alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma), ove una donna discinta è reclina sul primissimo piano, vinta forse dall’afa, o da una sua dolorosa fatica di vivere. La circonda, e quasi le precipita addosso in una franta e sincopata spazialità di memoria cézanniana, il disordine vorticante della stanza, ingombra di oggetti quotidiani: un tavolo da stiro, una brocca, alcuni panni, e uno specchio che riflette e moltiplica lo spazio di quell’interno, saturandolo d’ansia. Spezzato quasi in due metà dalla spazialità turbata che lo accoglie, il nudo della donna è lontano da ogni seduzione: sgarbato, offeso, brusco, prostrato. Passano gli anni. Trascorrono quelli delle Quadriennali romane del 1935 e del 1939, che vedono il trionfo della maturità del pittore; passano i primi premi e i primi riconoscimenti, anche internazionali (soprattutto negli Stati Uniti). E viene, in un difficile dopoguerra, un gruppo breve e coeso di dipinti ove domina ancora il tema del nudo femminile: sono corpi quasi gettati sul proscenio con malagrazia (Risveglio, ad esempio, in due versioni entrambe ascrivibili al 1948, una delle quali è ora nelle collezioni della Tate di Londra); piegati in aspre torsioni, in improvvise fratture della propria integrità plastica. Come se il supporto faticasse a contenere l’espandersi della forma.


Forme che coniugano il riferimento all’antichità
con le tensioni dell’espressionismo tedesco



Dolenti, ancora una volta, quei nudi; stremati da un espressionismo che non ha più radici (il tanto amato Kokoschka è ormai, per Pirandello, un riferimento re moto e inattuale; mentre il più giovane Lucian Freud - con il quale peraltro non può ovviamente esistere un percorso comune, ma sì una misteriosa confluenza di scelte iconografiche, forse addebitabile al riferirsi di entrambi all’immagine caricata di certa Neue Sachlichkeit tedesca - fa in Inghilterra le sue prime prove pittoriche), ma che resta per Fausto una costante sigla stilistica.


La pioggia d’oro (1933), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna. Dove non indicato diversamente, i dipinti riprodotti sono di Fausto Pirandello.