Grandi mostre. 1 
Giappone: dai samurai a Mazingaa Treviso

metamorfosi
di un guerriero

Figura simbolo dei guerrieri nipponici, il samurai, costretto a deporre le armi con l’editto dell’imperatore Meiji nel 1876 - che avviava ufficialmente il paese verso un inarrestabile processo di modernità e di occidentalizzazione -, diventa, dalla fine della seconda guerra mondiale, una vera e propria leggenda internazionale. Tanto da ispirare letteratura, cinema, fumetto e cartoni animati, come racconta qui uno dei curatori dell’esposizione alla Casa dei Carraresi.

Francesco Morena


il 28 marzo 1876 è stato il giorno più importante e drammatico nella lunga storia dei samurai. Fu allora che l’imperatore Meiji (1852-1912) promulgò l’editto Haitˉorei con il quale proibiva ufficialmente l’esposizione in pubblico della spada. La decisione non giunse a sorpresa, bensì era ovvia conseguenza della radicale trasformazione sociale e politica che il Giappone aveva intrapreso in quel momento cruciale della sua storia. Dopo oltre due secoli di pace e di consapevole isolamento dal resto del mondo sotto la guida degli “shˉogun” Tokugawa, al potere tra il 1603 e il 1868, il paese del Sol Levante s’era ritrovato nel volgere di pochissimi anni a dover compiere una scelta. L’arrivo nella baia di Yokohama della flotta americana al comando del commodoro Matthew Perry (1794-1858) che, a cannoni spiegati, aveva imposto al Giappone l’apertura dei suoi porti alle potenze straniere, aveva funzionato da innesco per una sorta di rivoluzione che in effetti già covava da qualche decennio nel paese, ormai allo stremo per l’“autarchia” imposta dalla dittatura militare. Gli scontri tra i vari feudatari (“daimyˉo”), alcuni ancora fedeli ai Tokugawa e altri favorevoli al loro ribaltamento politico, si risolsero con la destituzione dell’ultimo “shˉogun” e la contemporanea restaurazione dell’imperatore Meiji che riuscì così a riappropriarsi di quei poteri istituzionali dei quali era stato privato ben settecento anni prima, alla fine del XII secolo. Il paese aveva quindi scelto l’ingresso nella modernità, e iniziò allora un inarrestabile percorso di “occidentalizzazione” per poter competere con le più progredite nazioni del pianeta.
Per questi motivi, quindi, la figura del samurai semplicemente non aveva più senso di esistere. Dopo avere dominato la storia del Giappone a partire dal periodo Kamakura (1185- 1333); aver intriso la terra del sangue dei rivali; aver sgominato con l’aiuto del vento divino (“kamikaze”) le orde di mongoli inviate nel 1274 e 1281 da Kublai Khan (1215- 1294) alla conquista dell’arcipelago; dopo aver segnato la storia e il folklore del paese con decine e decine di avventure, dai duelli mortali agli scontri con creature fantastiche e malefiche; dopo aver eretto un monumento indelebile di filosofia e strategia militare: in quel fatidico 1876 avvenne infine il commiato, il canto del cigno del più feroce e letale guerriero che abbia mai calcato i campi di battaglia del mondo intero, il samurai. Vennero allora deposte tra i tesori di famiglia le leggere ed efficacissime armature e tutti quegli accessori che avevano fino a quel momento accompagnato inseparabili le vite dei guerrieri nipponici. In particolare la spada, a noi tutti nota come “katana” (termine che in realtà identifica solo una delle tante tipologie di armi da taglio giapponesi), vero simbolo del samurai, nella quale si riversa, fin dai tempi della mitologia, tutta la sacralità connessa con l’arte della guerra, forgiata nell’acciaio più puro da maestri spadai di ineguagliata abilità.


Utagawa Kuniyoshi, Kidomaru assale Raiko e i suoi guerrieri (1836 circa), xilografa dalla serie Otto ritratti dello splendore militare.