Studi e riscoperte. 3
Il disfacimento del corpo nell'opera di Carpaccio

l'emancipazione
del macabro

Il tema della decomposizione del corpo, affrontato per molto tempo solo attraverso richiami metaforici, si traduce nell’opera di Vittore Carpaccio nella sua più cruda e raccapricciante realtà. Una rappresentazione che trova conferme e continuità in scultori come Jacques Du Broeucq e soprattutto in pittori come Hans Holbein il Giovane.

Daniele Trucco

èrisaputo quanto l’uomo medievale fosse avvezzo alla barbarie e alla crudeltà gratuita inferta da chiunque disponesse, in qualche misura, di un principio di autorità o di una forza superiore: un corpo vivo assumeva, una volta nelle mani dei carnefici, il valore di un manichino e la tortura, la dissezione o lo squartamento facevano parte di una ritualità a cui prima o poi era necessario assistere. Stranamente, però, l’indagine “scientifica” intrapresa sui cadaveri e dunque la loro autopsia, rappresentava per l’immaginario comune qualche cosa di proibito, di svilente per l’anima e per la carne stessa. Solo a partire dal 1531 - quindi molti anni dopo i capolavori leonardeschi nati nel segreto delle cantine e per un privato studio - papa Clemente VII approverà la dissezione “anche” dei cadaveri. Ciò che è “interno” al corpo ha dunque costituito un problema per lungo tempo e l’arte figurativa non ha potuto far altro che metaforizzarlo con la rappresentazione della decadenza e della dissoluzione; il tutto ebbe seguito fino all’incirca alla fine del XV secolo, quando molti autori, in modo inequivocabilmente autonomo, sembrano invece riappropriarsi di tale soggetto in modo nuovo e originale. Chi più di tutti in Italia lavorò in tale direzione fu Vittore Carpaccio, pittore vissuto e formatosi nell’ambiente umanistico veneziano a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Il suo personale contributo alla rappresentazione del disfacimento corporeo costituisce un ponte evolutivo tra quanto il Medioevo aveva codificato con le sue “danze macabre” e quello che il Rinascimento nordico concluderà con le raffigurazioni “espressionistiche” delle crocifissioni e delle deposizioni del Cristo torturato. Nell’arco di vent’anni Carpaccio produce almeno tre lavori in cui compaiono direttamente le tematiche dell’interno e della decomposizione: in primo luogo si osservi la Meditazione sulla Passione di Cristo (1500-1510 circa). Molti elementi, anche se il pittore non si sbilancia ancora come farà in seguito, costituiscono degli inequivocabili segnali di cambiamento se confrontati con la tradizione: tutto in questa tavola è dissoluzione e consunzione. Sia Giobbe (meditabondo accanto a un cranio scomposto) sia san Gerolamo(1) (emblematico il rosario fatto di vertebre umane adagiato sulla colonna) prefigurano con la loro magrezza e “bruttezza” il senso di una fine imminente. Non si dimentichi, per riprendere un tema ampiamente sviscerato da Piero Camporesi(2), che il corpo rappresenta per diverse correnti di pensiero religioso un elemento atto alla mortificazione attraverso esperienze talvolta ripugnanti o dolorose.



Vittore Carpaccio, La preparazione della tomba di Cristo (1510 circa), Berlino, Gemäldegalerie.

Vittore Carpaccio, Meditazione sulla Passione di Cristo (1500-1510 circa), New York, Metropolitan Museum of Art.