Grandi mostre. 3 
Doni d’amore nel Rinascimento a Rancate (Mendrisio, Canton Ticino)

dimmi
di sì

Dettati da scopi politici, economici e sociali, i matrimoni conclusi tra il XIV e il XVI secolo erano il risultato di pure e semplici negoziazioni tra famiglie desiderose di consolidare e affermare il proprio potere. Banditi così cuore e sentimento, gli oggetti offerti alla giovane sposa, impregnati di ricche valenze simboliche, cercavano di smorzare la fredda e razionale trattativa. Ce ne parla qui la curatrice dell’esposizione in corso alla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst.

Patricia Lurati

quando l’8 giugno 1466, sulla piazzetta antistante il palazzo gentilizio dello sposo, per l’occasione coperta con «panni turchini» per proteggere gli ospiti dal sole e addobbata con arazzi e festoni di foglie e rose dai quali facevano capolino gli stemmi Medici e Rucellai, furono festeggiate con grandissimo sfarzo, alternando per ben tre giorni banchetti e danze, le nozze tra Nannina, nipote di Cosimo e sorella di Lorenzo il Magnifico, e Bernardo, figlio del facoltoso mercante Giovanni Rucellai, lo scopo era di rendere pubblica l’unione tra i due casati e palesare le ripercussioni sociali, politiche ed economiche che avrebbe comportato sulle dinamiche cittadine. Alleanza familiare che i genitori dei futuri sposi avevano accortamente pianificato «fermando il parentado », ossia accordandosi in forma privata e confidenziale, quando i diretti interessati erano poco più che fanciulli. Era infatti consuetudine tra i ceti elevati che i padri, dovendo munire le figlie femmine di una cospicua dote che andava a intaccare il patrimonio familiare, cercassero di trarne vantaggio maritandole con un uomo appartenente a un lignaggio abbiente. Il complesso rito matrimoniale prevedeva, poi, le “giure”, ovvero la stipula di un documento notarile per rendere ufficiali i preliminari accordi matrimoniali, e l’invio da parte del fidanzato di un forzierino contenente gioielli alla futura sposa per manifestare pubblicamente il vincolo assunto. Dopo qualche tempo i promessi sposi s’incontravano per esprimere il loro consenso davanti a un notaio e a parenti e amici che in qualità di testimoni assistevano al gesto rituale del futuro marito che, infilando l’anello nuziale al dito della fanciulla, acquisiva pieni diritti sulla moglie e sulla dote. I festeggiamenti veri e propri avevano invece luogo a distanza di qualche settimana o mese, allorché la giovane, in sella a un cavallo bianco e scortata da un festoso corteo composto da donne della sua famiglia riccamente abbigliate e amici del marito, sfilava per le vie della città alla volta della sua nuova dimora di donna maritata. Ad accompagnarla, oltre ai musici, erano i domestici che trasportavano la coppia di cassoni commissionata dal padre per riporvi le “donora”, oggetti e ricche vesti che le donne appartenenti all’élite recavano con sé in aggiunta alla dote in denaro, e che arrivata a destinazione la sposa offriva al marito. Dopo essere stati riposti nella camera padronale, i coperchi dei cassoni venivano dischiusi - a volte rivelando sulla faccia interna raffigurazioni di uomini o donne nudi volti a stimolare la sessualità dei coniugi - in modo da consentire ai professionisti incaricati di stimarne il valore.


Paolo di Stefano Badaloni detto Schiavo, interno di coperchio di cassone con Venere e Amore (1440-1445 circa).

Giovanni di Nicola Manzoni, calamaio con coppia a cavallo (inizio del XVI secolo), Milano, Castello sforzesco, Civiche raccolte di arte applicata;