quando l’8 giugno 1466, sulla piazzetta antistante il palazzo gentilizio dello sposo, per l’occasione coperta con «panni turchini» per proteggere gli ospiti dal sole e addobbata con arazzi e festoni di foglie e rose dai quali facevano capolino gli stemmi Medici e Rucellai, furono festeggiate con grandissimo sfarzo, alternando per ben tre giorni banchetti e danze, le nozze tra Nannina, nipote di Cosimo e sorella di Lorenzo il Magnifico, e Bernardo, figlio del facoltoso mercante Giovanni Rucellai, lo scopo era di rendere pubblica l’unione tra i due casati e palesare le ripercussioni sociali, politiche ed economiche che avrebbe comportato sulle dinamiche cittadine. Alleanza familiare che i genitori dei futuri sposi avevano accortamente pianificato «fermando il parentado », ossia accordandosi in forma privata e confidenziale, quando i diretti interessati erano poco più che fanciulli. Era infatti consuetudine tra i ceti elevati che i padri, dovendo munire le figlie femmine di una cospicua dote che andava a intaccare il patrimonio familiare, cercassero di trarne vantaggio maritandole con un uomo appartenente a un lignaggio abbiente. Il complesso rito matrimoniale prevedeva, poi, le “giure”, ovvero la stipula di un documento notarile per rendere ufficiali i preliminari accordi matrimoniali, e l’invio da parte del fidanzato di un forzierino contenente gioielli alla futura sposa per manifestare pubblicamente il vincolo assunto. Dopo qualche tempo i promessi sposi s’incontravano per esprimere il loro consenso davanti a un notaio e a parenti e amici che in qualità di testimoni assistevano al gesto rituale del futuro marito che, infilando l’anello nuziale al dito della fanciulla, acquisiva pieni diritti sulla moglie e sulla dote. I festeggiamenti veri e propri avevano invece luogo a distanza di qualche settimana o mese, allorché la giovane, in sella a un cavallo bianco e scortata da un festoso corteo composto da donne della sua famiglia riccamente abbigliate e amici del marito, sfilava per le vie della città alla volta della sua nuova dimora di donna maritata. Ad accompagnarla, oltre ai musici, erano i domestici che trasportavano la coppia di cassoni commissionata dal padre per riporvi le “donora”, oggetti e ricche vesti che le donne appartenenti all’élite recavano con sé in aggiunta alla dote in denaro, e che arrivata a destinazione la sposa offriva al marito. Dopo essere stati riposti nella camera padronale, i coperchi dei cassoni venivano dischiusi - a volte rivelando sulla faccia interna raffigurazioni di uomini o donne nudi volti a stimolare la sessualità dei coniugi - in modo da consentire ai professionisti incaricati di stimarne il valore.

