cleopatra, o meglio Cleopatra VII Thea Philopatore, è passata alla storia come donna dotata di un magnifico aspetto, capace di fare innamorare di sé due degli uomini più potenti e importanti nella storia di Roma: Giulio Cesare prima e Marco Antonio poi. Tuttavia le fonti antiche sono discordi sulla leggendaria bellezza dell’ultima sovrana d’Egitto. Se infatti Cassio Dione, descrivendo la regina al tempo del suo incontro con Cesare, parla di una bellezza straordinaria(1), Plutarco afferma invece che l’aspetto della sovrana non era in realtà per nulla eccezionale(2). Su un punto, però, le testimonianze antiche sembrano concordare: più che la bellezza esteriore, il fascino della regina emanava dalla sua voce, dai suoi modi e dalla sua levatura intellettuale: donna estremamente colta, Cleopatra intratteneva rapporti con gli eruditi del Museion e della Biblioteca di Alessandria. Non una stilla di sangue egizio scorreva nelle sue vene: per nove generazioni la sua famiglia, la dinastia dei Tolomei, aveva praticato l’endogamia, senza mai mescolarsi alla popolazione dell’Egitto. Notevole era la sua conoscenza delle lingue. Parlava fluentemente latino e greco, e senza avvalersi di interpreti intratteneva conversazioni con arabi, ebrei, etiopi, medi, siri e parti. Ma qual era l’aspetto di questa regina che, dandosi la morte, seppe diventare immortale? Lo studio della ritrattistica di Cleopatra si configura in realtà piuttosto problematico: come tutti i membri della dinastia tolemaica, infatti, anche Cleopatra soleva farsi rappresentare sia secondo i canoni estetici della tradizione egizia, sia attraverso il linguaggio dell’arte greco-ellenistica. Attraverso tale “bilinguismo figurativo” i Tolomei, insediatisi alla guida dell’Egitto come successori di Alessandro il Grande a partire dal 305 a.C., si presentavano da un lato come gli eredi di una tradizione faraonica antica di oltre trenta dinastie, e dall’altro come i legittimi successori del dominio alessandrino sull’Egitto. Fra i ritratti di Cleopatra realizzati secondo i canoni ieratici della tradizione figurativa dei faraoni, spicca un rilievo scolpito su una delle pareti del tempio di Dendera, in Egitto, ove la sovrana tolemaica compare di profilo, coronata da ureo (il serpente che simboleggia la regalità faraonica), disco solare e corna d’ariete in forma di lira. È questa una delle rarissime raffigurazioni delle regina accompagnate dal suo nome scritto in geroglifici, elemento che rende certa l’identificazione del soggetto. Un’altra interessante rappresentazione di Cleopatra secondo i canoni estetici egizi è offerta da una scultura in basalto nero, conservata all’Ermitage di San Pietroburgo. In questo caso non compare nessun cartiglio recante il nome della regina, ma il riconoscimento del soggetto ritratto è possibile attraverso una lettura iconografica degli attributi presenti nella statua: la figura reca infatti in mano una doppia cornucopia, simbolo che compare anche su alcune monete emesse da Cleopatra. Inoltre, sul capo della figura femminile compaiono non due, ma tre urei. Si tratta di un caso eccezionalmente raro: generalmente, infatti, nei ritratti dei faraoni compaiono al massimo due urei, a simbolo dei regni dell’Alto e del Basso Egitto. La presenza di un terzo elemento regale può essere giustificata dal fatto che nel 34 a.C., in occasione delle Donazioni di Alessandria, i possedimenti di Cleopatra vennero estesi, comprendendo, fra i vari territori, anche Cipro. Il terzo ureo sulla fronte della statua sembrerebbe quindi ricondursi a queste estensioni territoriali, confermando l’identificazione del soggetto ritratto nella scultura con Cleopatra. Tuttavia, per quanto il rilievo di Dendera e la statua oggi all’Ermitage siano sicuramente effigi di Cleopatra, entrambi mostrano la regina divinizzata, e non sono quindi in grado di restituircene un ritratto fedele.

