La tarda attività pittorica di Rembrandt è caratterizzata da due tendenze fortemente intrecciate fra loro: la “sprezzatura” e l’anticonformismo. Attorno a due dipinti emblematici di queste tendenze, sui quali ci soffermeremo, si incentrano le scelte artistiche e le vicende esistenziali degli ultimi anni del pittore; quasi due fuochi di un’ellisse attorno ai quali ruotano anche le opere selezionate per descrivere, in una mostra londinese, questo periodo fondamentale della pittura di Rembrandt e dell’arte europea del Seicento.
Dopo la metà del XVII secolo, vicino ai cinquant’anni, Rembrandt ha ormai lasciato il gruppo dei colleghi e vola da solo. Lui, uno dei maestri della “maniera fine”(*) ha scelto diversamente. Ha scelto la “lossigheydt”, la scioltezza, quella che grazie a Baldassar Castiglione si diffonde nell’Italia del Cinquecento e poi in Europa col nome di “sprezzatura”, appunto: nonchalance, studiata trascuratezza; carattere distintivo di chi per nobiltà d’animo, elevatezza di modi e finezza di ingegno può contemplare le cose da una certa distanza, di chi non deve dimostrare niente a nessuno, il “cortigiano”. È il percorso svolto da Tiziano, incarnazione principe della sprezzatura; il quale in tarda età, all’apice di una fama europea, passa dalla pittura finemente svolta, limpida nei suoi esiti formali, a quella che Vasari chiama «pittura di macchia», ampie pennellate di colore stese senza disegno preliminare direttamente sulla tela.

