La pagina nera
ma la tutela, a pisa,
perChé è tanto invisa?
di Fabio Isman
Capita talora che, per un sommarsi di circostanze (o lacune), un luogo assurga al ruolo di simbolo. In questo caso, purtroppo, Pisa, una tra le più belle e famose città del nostro paese, racchiude in sé e mostra non soltanto tutta l’importanza della tutela, ma anche che cosa succede quando i lavori rimangono a metà, o se ne decidono alcuni un po’ sciocchi, o, più banalmente, mancano i fondi per condurli a termine. Sembra quasi che, nella città toscana, tutto cominci e finisca nella celeberrima e quanto mai osannata torre pendente; e il resto, possa essere lasciato vivacchiare, o addirittura languire. A Pisa, quasi sul litorale, non è nemmeno ancora finita la seconda guerra mondiale: nel 2007 si è deciso infatti di riedificare il campanile di San Piero a Grado, la chiesa medievale innalzata dove, secondo un’antica tradizione, sarebbe perfino approdato san Pietro, la «pietra» su cui Cristo «fonda la sua chiesa», durante il suo viaggio verso Roma nel 44. Ma esattamente millenovecento anni dopo, i soldati nazisti, in ritirata, ne hanno fatto saltare il campanile con le mine. Si è sempre pensato di innalzarlo di nuovo: nel 1956 se ne eressero i primi sei metri; ora, vedremo.
Su quella che era un tempo la linea di costa, presso l’antica foce dell’Arno oggi interrata, resta l’edificio, che si dice voluto dallo stesso san Pietro appena giunto da Antiochia, per secoli meta dei pellegrini, e ricostruito tra il X e l’XI secolo. In tufo e marmo bianco e nero, colonne di spoglio e capitelli classici, vi si accede soltanto dai fianchi, poiché la facciata, forse per una piena del fiume e forse nel XII secolo, è crollata, e non è mai stata rifatta. Dentro, un ciborio sul punto dove avrebbe predicato il santo. Una singolare architettura: quattro absidi, di cui tre su una parete, resti del primitivo edificio, e, soprattutto, un ciclo di affreschi d’inizio Trecento. Se la facciata non è mai rinata, per far risorgere il campanile del XII secolo è stata invece erogata la discreta somma di un 1 milione e 200mila euro. Fondi, tuttavia, non sufficienti, né interamente stanziati dall’allora ministro Sandro Bondi e così la torre campanaria è rimasta a metà: i lavori interrotti dopo sei anni. Ora, è alta sedici metri, anziché trentasette come in origine, e con una copertura dal sapore provvisorio, e certo abbastanza stonata. Non è sicuramente un bel vedere.
Ma a Pisa non c’è soltanto un campanile mozzo, perché riedificato a metà: «Non si fa più manutenzione programmata, e parecchi monumenti sono chiusi per inagibilità», dice una recente ricerca(1). Perché se San Piero a Grado piange, altre chiese in città certamente non ridono. Da novembre 2010, San Paolo a Ripa d’Arno, fondata nell’805, ricostruita e consacrata nel 1148 da papa Eugenio III, detta anche Duomo vecchio poiché fu utilizzata in attesa dell’attuale, all’epoca in costruzione, è transennata e puntellata all’interno per problemi strutturali assai pesanti, «e non si trovano i finanziamenti, si parla di 2 milioni e mezzo di euro»(2). Non l’hanno protetta nemmeno una pregevole Madonna di fine Trecento, conservata nel transetto, o gli affreschi attribuiti a Buffalmacco, il pittore che ha lasciato tre grandi (e bombardate) scene dipinte nel camposanto - accanto alla torre -, altro complesso monumentale del campo dei Miracoli. Dalla primavera 2013 è invece sbarrata Santa Maria della Spina (così chiamata perché conservava una spina della corona di Cristo, poi trasferita nella chiesa di Santa Chiara), nata su un piccolo oratorio del Duecento e più volte rifatta nei secoli, che resta un gioiello del Gotico pisano: accusa grosse difficoltà al tetto, è in restauro da settembre 2014.
Ma pure il complesso di San Francesco e la chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, accanto alla famosa Scuola normale, non godono di ottima salute. San Francesco vanta una storia singolare: nasce nel 1233, ospita opere del Passignano, Santi di Tito e Taddeo Gaddi, un dossale in marmo di Tommaso Pisano, affreschi di Taddeo di Bartolo e di Niccolò di Pietro Gerini; vi è sepolto Ugolino della Gherardesca, con figli e nipoti; ma, soprattutto, dopo la soppressione napoleonica e la trasformazione del convento in una caserma, non è stato semplice riaprirlo al culto. Da qui, Bonaparte porta via San Francesco riceve le stimmate di Giotto e una Madonna di Cimabue, entrambi ormai al Louvre; e anche dopo l’incaglio di un esproprio, solo l’aiuto di un comitato di cittadini riesce a far riaprire l’edificio appena nel 1901, dotandolo anche di nuove vetrate, al posto delle antiche ormai scomparse, opera di Galileo Chini. Però il tetto del chiostro versa in condizioni disastrose; e la Sala del capitolo, affrescata, è assai precaria.


