«Giovedì, 6 agosto 1943. Credo, ne sono quasi certa, che fu durante la notte che precedette la mia iniezione di Cardiazol che ebbi questa visione: mi trovavo in cima a un piccolo pendio orlato di alberi; sotto di me, sulla strada, c’era un ostacolo simile a quelli che avevo visto tante volte al concorso ippico; accanto a me due grossi cavalli erano legati fra loro. A un tratto un cavallino bianco si staccò da loro; i due grandi cavalli sparirono e sul sentiero rimase solo il puledro che rotolò fino in fondo e vi restò sul dorso, agonizzante. Ero io, il puledro bianco».
In Down Below(1) (da cui è estratto il brano citato), racconto lucido del suo viaggio negli abissi della follia, Leonora Carrington (1917- 2011) sogna spesso un puledro bianco, figura teriomorfa che incarna il suo desiderio di libertà e identità. È Tartaro il cavallo a dondolo della sua infanzia, il protagonista del racconto La dame ovale(2), dove i due stabiliscono un legame profondo che può associarsi alla zoolatria, al totemismo. Il sogno di fusione e liberazione si compie in Penelope, opera teatrale messa in scena a Città del Messico nel 1957 con la regia di Alejandro Jodorowsky. Al contrario del racconto scritto vent’anni prima, che si conclude tragicamente con la distruzione di Tartaro, nella pièce teatrale il cavallo è diventato amante, strumento di salvezza e fuga dalla casa paterna. Se il puledro bianco rappresenta un desiderio di libertà e di fusione con l’altro per acquisire un’identità nuova e libera da costrizioni sociali e familiari, Carrington è il puledro bianco.
