Grandi mostre. 2
La Divina marchesa a Venezia

UNA MUSA
INQUIETA

Palazzo Fortuny è lo scenario ideale per la prima rassegna dedicata a Luisa Casati. Volitiva, anticonformista, ingorda di vita e arte, la nobildonna ha ispirato autori del suo tempo come Man Ray, Boldini, Martini e nostri contemporanei come Abramović, Vezzoli e Galliano. Personaggio irrequieto che ha sedotto Gabriele d’Annunzio e che riscopriamo, qui, nel racconto della direttrice del museo veneziano, ideatrice del progetto espositivo.

Daniela Ferretti

Chi era Luisa Casati? Una delle tante, eccentriche, stravaganti, ricchissime “femmes fatales” che costellavano il periodo tra la Belle époque e i folli anni Venti del secolo scorso? Oppure una «grande artista», come acutamente la ebbe a definire Alberto Martini, l’amico pittore che la ritrasse per oltre vent’anni? 

Certamente è stata un personaggio straordinario e la mostra allestita a Venezia a palazzo Fortuny rappresenta il primo, ambizioso passo per raccontare la Divina marchesa, simbolo perduto di un’epoca irripetibile, musa inquieta che ha saputo trasformarsi in un’icona di stile, ancora oggi fonte di ispirazione per molti artisti. 

Luisa Adele Rosa Maria Amman nasce a Milano nel 1881 e con la sorella Francesca eredita un ingente patrimonio. Il 22 giugno del 1900 sposa il marchese Camillo Casati Stampa. L’anno seguente nasce l’unica figlia, Cristina. 

Nel 1903, durante una delle battute di caccia che tanto appassionavano suo marito, avviene il fatale incontro con Gabriele d’Annunzio. Il poeta è già celebre tanto per la sua opera quanto per essere un libertino impenitente. Luisa è un’amazzone provetta, elegante, magra e con un fisico slanciato, inusuale per i canoni di bellezza dell’epoca; il volto è illuminato da uno sguardo inquieto e D’Annunzio intuisce il fuoco che cova dietro l’esistenza forse noiosa della giovane marchesa. Il vate e la Casati hanno in comune la passione per l’arte, l’arredamento, i testi classici, i mascheramenti, le feste, l’occultismo, le scienze esoteriche e certe atmosfere che rimandano al mondo dei dipinti di Gustave Moreau. 


Luisa, divorata dal desiderio di diventare un’opera d’arte vivente, in un crescendo di sfrenato narcisismo commissiona i suoi ritratti ad artisti celebri e non


Per Luisa, D’Annunzio sarà per sempre Ariel, lo spiritello della Tempesta di Shakespeare, mentre il poeta la chiamerà Core, in onore della dea degli Inferi. Inizia la trasformazione. I capelli sono tagliati e tinti di un rosso acceso, i bellissimi occhi sono pesantemente truccati e sul volto eburneo spicca il carminio delle labbra. Veste preferibilmente di bianco e di nero adornandosi di gioielli dalle forme inusuali. 

A Venezia il dibattito artistico è intenso e vivace anche per merito della Biennale d’arte, fondata nel 1895 e divenuta la rassegna più cosmopolita nel campo delle arti visive. 

È questo il naturale palcoscenico che la sulfurea Core sceglierà per esibirsi in alcune delle più straordinarie ed elaborate rappresentazioni scaturite dalla sua fervida fantasia. 

Qui, grazie a D’Annunzio, conosce Giovanni Boldini. L’artista le chiederà di posare per il celeberrimo ritratto con levriero e nel 1913 la raffigurerà con il volto di profilo e l’occhio “egizio” che emergono da un vortice di piume di pavone nello spettacolare dipinto di proprietà della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Sempre nella città lagunare incontra Sergej Djagilev, Léon Bakst e gli artisti dei Balleti russi. Nel 1910 affitta palazzo Venier dei Leoni (poi acquistato da Peggy Guggenheim) e lo trasforma in un luogo di magie con servitori ricoperti di polvere d’oro, animali esotici tra cui un ghepardo, un boa, pappagalli e pavoni bianchi. Ama passeggiare di notte in piazza San Marco vestita solo con un raffinatissimo mantello di velluto di seta stampato con arabeschi dorati (forse lo stesso modello tanto desiderato dall’Albertine proustiana e che il geniale Mariano Fortuny realizzava nel suo palazzo in campo San Beneto). Calza scarpine dorate dai tacchi di madreperla, al guinzaglio tiene il ghepardo dal collare di diamanti ed è accompagnata da Garbi, il servitore nubiano, che le illumina il cammino reggendo un candeliere d’oro. 

Poi, le feste, come quelle celeberrime del 1913. In questo campo la Casati dava il meglio di sé. Era in grado di montare e gestire un’immensa macchina organizzativa dove ogni minimo dettaglio era controllato con precisione e i tempi calibrati sull’evento clou: l’apparizione della Divina marchesa. Due anni dopo, nella selezione ufficiale della Biennale d’arte sono presenti due suoi ritratti: il primo è lo straordinario pastello di Alberto Martini, Farfalla; il secondo è una scultura in cera di Paolo Troubetzkoy che la ritrae con uno degli amati levrieri.


Mariano Fortuny y Madrazo, La marchesa Casati con Giovanni Boldini e un uomo in maschera a palazzo Venier dei Leoni a Venezia (settembre 1913), Venezia, Archivio palazzo Fortuny.


Romaine Brooks, La marchesa Casati (1920 circa).