Studi e riscoperte. 1
Le “feste galanti” nel Settecento

SOGNO
O SON
DESTO?

L’amore, il piacere, il gioco, calati in paesaggi bucolici, sono i soggetti tipici delle “feste galanti”, genere inventato da Watteau e ripreso da Fragonard e Boucher. Scenari sospesi tra realtà e fantasia, illusione e poesia, sensualità e malinconia.

Adriana Maria Riccioli

La mostra che il Musée Jacquemart- André di Parigi ha allestito lo scorso anno intorno al tema delle “feste galanti” (De Watteau à Fragonard. Les fêtes galantes, 14 marzo - 21 luglio 2014) ha offerto un’occasione irripetibile per deliziare gli occhi del pubblico e nel contempo trasportarlo in un’atmosfera incantata in cui si celebra la ricerca del piacere e dell’amore pur nell’intima certezza della loro natura fragile ed effimera. 

Questa è infatti la sensazione che il visitatore ha potuto provare sostando soprattutto dinanzi ai quadri di Jean-Antoine Watteau, artista geniale e innovatore del primo Settecento francese, con cui si può fare iniziare la pittura rococò che per circa un secolo ha dominato la scena artistica europea. Proprio al pittore di Valenciennes si fa risalire l’invenzione del genere detto delle “feste galanti” come fenomeno tipicamente settecentesco, anche se la rappresentazione dell’idillio campestre vanta una lunga tradizione, le cui origini risalgono all’idea classica dell’Arcadia. 

Così, seppure questo genere possa sembrare per sua natura superficiale e frivolo, la sensibilità di Watteau riesce ad arricchirlo di una “gravitas” poetica e psicologica che parla più universalmente della condizione umana, della natura labile (e quindi fonte di tristezza) della felicità e dell’amore.


Jean-Honoré Fragonard, L’altalena (1767), Londra, Wallace Collection.