Grandi mostre. 3
Gherardo delle Notti a Firenze

LAMPI
NEL BUIO

La prima esposizione monografica dedicata a Gerrit van Honthorst, noto anche come Gherardo delle Notti, è ospitata agli Uffizi, che custodiscono un nucleo importante di opere da lui prodotte durante il suo soggiorno in Italia. Esperienza fondamentale per l’artista olandese, come ci racconta qui il curatore, vissuta nel periodo di massima diffusione del codice caravaggesco.

Gianni Papi

La mostra Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre (Firenze, Galleria degli Uffizi, 10 febbraio - 24 maggio) è in assoluto la prima che viene dedicata a Gerrit van Honthorst, il grande artista olandese che trascorse in Italia circa dieci anni fra il 1610-1611 e il 1620, quando all’inizio dell’estate fece definitivamente ritorno nella natia Utrecht. 

Stupisce che un pittore così importante, che negli ultimi tempi è stato anche gratificato da notevoli risultati di mercato, non abbia mai avuto un’esposizione monografica. Difficile spiegarne le ragioni; di certo si può dire che la fama di Gherardo delle Notti (la mostra ha preferito scegliere per il titolo il celebre soprannome avuto in Italia, in virtù della sua predilezione per le scene notturne o di genere “a lume di candela”) non ha conosciuto tramonto nel corso dei secoli e si può tranquillamente affermare che nel XIX secolo era più noto di Caravaggio, cioè l’artista dal quale fu maggiormente influenzato. 

Paradossalmente è stato proprio nel secolo scorso - quando il movimento caravaggesco è tornato sempre più al centro di un forte interesse - che la parabola di Gerrit ha cominciato un andamento discendente, forse anche per via della poca simpatia di Roberto Longhi, che apertamente gli preferiva il conterraneo Hendrick Terbrugghen. O forse per le notevoli differenze stilistiche che separano la meravigliosa fase italiana (soprattutto al centro di questa mostra) dai dipinti eseguiti (dal 1628 in poi) per le teste coronate d’Inghilterra e di Danimarca e per l’ufficialità olandese: opere che di certo lo resero ricco e influente (a un certo punto aveva nel suo studio addirittura ventiquattro allievi), ma che ai nostri occhi oggi appaiono segnate da una rigida routine, come se lo straordinario successo e l’agiata vita di Utrecht e L’Aja avessero un po’ sterilizzato le inquietudini e gli exploit artistici della giovinezza in Italia.


Cristo dinanzi a Caifa (1615 circa) Londra, National Gallery.