Il Cinquecento, secolo della trattatistica, accoglie anche una nutrita serie di opere teoriche sul sogno, almeno dodici stampate nella nostra penisola(1). Alcuni di questi scritti affrontano il tema della bizzarria onirica, cioè di quel fenomeno per cui il sognatore assiste a distorsioni visive o a incongruenze narrative che lo pongono in contrasto con le leggi naturali e con la logica. Così, per esempio, Daniele Barbaro nella sua Predica dei sogni (1542) e Stefano Maria Ugoni che vede nei sogni «le più strane cose, che si possano immaginare» (Dialogo della vigilia, et del sonno, 1562); mentre Giovan Battista della Porta parla di «imagini storpiate e mostruose» (Magia naturale, 1589). Prevedibile che anche in opere di pittori e incisori dedicate al sogno nel corso del XVI secolo e nei primi anni del precedente si possano cogliere riferimenti a questo caratteristico aspetto dell’esperienza onirica. Si vuole qui evidenziare come gli artisti abbiano dato vita a peculiarità iconografiche che dovevano risultare ben comprensibili agli osservatori contemporanei; da affiancare ad altre immagini allusive ormai scontate: la civetta per la notte, il gallo per la lucianesca isola dei sogni, le maschere per la fallacia dei sogni.
