QUANDO RAFFAELLO
DIVENTÒ UN’“ICONA”

NNon di rado le vite di certi uomini (celebri e ignoti), per le coincidenze e i ricorsi che le caratterizzano, sembrano le trame di un romanzo. Quella del Sanzio non fa eccezione; lo dimostra il fatto che come l’affacciarsi alla vita e alla carriera del grande urbinate fu segnato, sullo sfondo, dalla presenza della marchesa Isabella d’Este, così accadde pure per la sua conclusione perché la celebre lettera che inviò Pandolfo Pico della Mirandola alla nobildonna fu senz’altro un tassello importante nella costruzione del mito di Raffaello. Vale allora la pena di rileggerla per intero, cogliendo poi i punti salienti che portarono il personaggio Raffaello a diventare quel che oggi chiameremmo un’“icona”. Così scrive il conte che era pure precettore di Ferrante Gonzaga: «Anchor che in questi giorni santi ad altro non s’attendi ch’a confessione, et a cose devote, non ho perhò voluto restare de far reverentia ala Ex.tia V., la quale per hora non sarà advisata d’altra cosa che de la morte de Raphaello d’Urbino, quale morite la notte passata che fu quella del Venere Santo, lasciando questa corte in grandissima et universale mestitia per la perdita de la speranza de grandissime cose che se expettavano da lui, quale haverebono honorato questa etade. Et in vero per quello se dice ogni gran cosa se pottea permettere da lui, per le cose sue che già se vegono fatte e per li principii ch’havea datto a magiore imprese. De questa morte li cieli hanno voluto mostrare uno de li signi che mostrorno nela morte de Christo quando lapides scisi sunt; così il palazzo del Papa s’è aperto de sorte che ‘l minaza ruina, e Sua Santità per paura è fugito dale sue stantie et è andato a stare in quelle che feze fare Papa Innocentio.